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free Wilco di
Fabio Cerbone (27/07/2015)
La propensione dei Wilco per il cattivo gusto nella scelta delle copertine
è di solito inversamente proporzionale alla qualità del contenuto musicale: era
già capitato in passato, basti pensare al famoso "disco del cammello", ovvero
sia l'omonimo Wilco. Questa volta tuttavia la facciata di Star Wars è
un segnale di pericolo messo in bella vista, perché non basta gridare generosamente
alla sorpresa - così hanno definito Tweedy e soci l'improvvisa disponibilità in
rete del disco, scaricabile gratuitamente dal loro sito a luglio, uscita ufficiale
prevista in agosto - per coprire qualche intralcio nell'ingranaggio della band.
Una punta di mestiere si era affacciata nel precedente The
Whole Love, il primo album che sembrava rivivere situazioni ed esperimenti
che il gruppo aveva già declinato nel suo studio di Chicago: le qualità della
scrittura di Tweedy e le invenzioni dei musicisti coprivano qualche caduta di
tensione e si poteva ancora pensare al futuro.
Star Wars appare invece
come la prima vera battura d'arresto nella discografia dei Wilco, non perché manchino
i funanbolismi e le "deviazioni" sonore con cui la band ha intaccato da anni il
corpo della tradizione rock americana, tutt'altro, quanto perché il tono degli
arrangiamenti, la ricerca sonora, i guizzi strumentali celano la mancanza di canzoni.
Forse Tweedy ha dato sfogo alla sua vena più intima e personale, quella che in
fondo alimenta da sempre il songwriting dell'ex Uncle Tupelo, esaurendola nel
progetto famigliare di Sukierae
dello scorso anno e si ritrova oggi con una manciata di brani che hanno sì un
piglio più elettrico, quasi garagista e noise rock rispetto al passato, ma passano
spesso inosservati, scombinati anche nei nonsense e negli accostamenti delle liriche.
Tutto ciò fatte le dovute eccezioni per chi la classe la possiede come un dono
innato. E allora via con il minuto e una manciata di secondi di cacofonia calcolata
di EKG, manifesto di una formazione che ha deciso da tempo di inoltrarsi
verso l'imprevedibile. Poi arriva la patina quasi glam di
More…, il suo baricentro pop un po' schizzato e travolto dallo sferragliare
delle chitarre di Nels Cline e Pat Sansone (oltre allo stesso direttore d'orchestra
Tweedy) e l'effetto è quello di una riproposizione poco efficace di quanto già
raggiunto con altri esiti nei dischi post Yankee Hotel Foxtrot, ormai il punto
di non ritorno nella storia dei Wilco.
Si diceva di un'attitudine più
sfrontata ed elettrica del previsto e così confermano le nervose trame di
Random Name Generator e The Joke Explained,
dove l'energia e un sound più diretto del solito, quasi improvvisato, nascondono
le lacune compositive. Piace questo approccio più livido in Star Wars
e certo non lo si può liquidare come un puro passaggio a vuoto, fosse soltanto
per l'interesse di alcuni spunti strumentali, ma è altrettanto sacrosanto affermare
che il crescendo di You Satellite - già auspicabile una sua esplosione
dal vivo - qui appare come un rifacimento di materiale un tempo assai più efficace,
e altrettanto si dica del giocare con la forma ballata in Taste
the Ceiling, che rimane in ogni caso uno degli episodi più riusciti
del disco insieme alla chiusura "beatlesiana" di Magnetized,
mentre Cold Slope o King of You crollano sotto il peso degli scarti.
Star Wars è un disco a suo modo immediato, un inedito per i Wilco di queste
stagioni: la sua stessa durata, di poco superiore alla mezz'ora, spezza con la
tradizione che l'ha preceduto. Questo atteggiamento esalta in parte l'animo rock
dei singoli brani, la loro istintività, ma non toglie la sensazione di
rivivere troppi dejà vù musicali: questa volta non è sufficiente
l'ironia, perché così la vogliamo pensare, di gattini e "guerre
stellari" piazzati in copertina per superare l'impasse.