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Bruce Springsteen
Only the Strong Survive
Covers vol.1

[Columbia 2022]

Sulla rete: brucespringsteen.net

File Under: soul serenade


di Fabio Cerbone (18/11/2022)

“I remember”: si apre con queste parole, velate di una dolce nostalgia, Only the Strong Survive, l’improvviso omaggio soul di Bruce Springsteen, secondo album di sole cover dal lontano 2006 delle Seeger Sessions. Ed è nel gesto dei ricordi che sembra ripararsi oggi il nostro protagonista, non da adesso però intento a ripercorrere la strada da cui è venuto: l’autobiografia, gli show a Broadway, in generale il tono più meditativo di album come Western Stars e persino i “recuperi” che alimentavano Letter to You, tutti segnali di un’altra età artistica, con una fiamma che almeno in studio arde di meno, si fa più indifesa, anche a costo di apparire un po’ fioca, indecisa se mettersi veramente in gioco.

I versi in questione arrivano proprio dalla title track, successo di Jerry Butler del 1969 interpretato anche dal Re, Elvis Presley in persona, a ribadire come l’intera operazione di Bruce sarà da una parte un tributo alla sua innocente adolescenza soul di ragazzo bianco innamorato della black music (legame che qualsiasi appassionato del rocker del New Jersey ben conosce fin dagli esordi), e dall’altra un palese tentativo di vestire i panni dell’interprete, del semplice cantante, inseguendo quel “pure singing”, come ha affermato di recente al Tonight Show di Jimmy Fallon, che la tradizione gospel trasmutata in quella soul e pop nera, soprattutto di casa Motown, ha insegnato all’America intera.

Il progetto è presto servito, anche se smussato di molti spigoli e incentrato sul gesto romantico (sono fondamentalmente tutte canzoni d’amore); le intenzioni senz’altro meritorie, e il “singer” è proprio lì, al centro dei riflettori, con una voce che è consapevole dei suoi “limiti”, del raggio d’azione entro il quale potrà muoversi, ma fa il suo lavoro con onestà, senza chiedersi se sarà all’altezza degli originali. Resta anche la parte più convincente di Only the Strong Survive, dove il calore e la generosità di Springstreen non sono (quasi) mai in discussione, giusto un paio di inciampi veniali, mentre qualche serio problema in più lo pone la stessa realizzazione dell’album. Suonato in buona parte dal solo produttore Ron Aniello, sorta di timoniere o tiranno a seconda dei punti vista, puntellato dagli interventi dei ribattezzati The E Street Horns, e sostenuto giusto dai camei vocali dell’ospite Sam Moore (Sam& Dave) in Soul Days e I Forgot To be Your Lover, il disco soffre spesso di una staticità artefatta, di un’energia, quella dell’interprete Bruce, un po’ repressa e schiacciata dagli eventi che lo circondano.

Anche la presenza a volte ridondante, fuori dai margini, di alcuni cori femminili, o la scontata insistenza su certe soluzioni vagamente “spectoriane” (Phil Spector è da sempre un’ossessione musicale anche dello Springsteen produttore) che infarciscono di archi e sontuose pareti sonore i brani, non sembrano aiutare del tutto l’anima di queste canzoni. Le quali scaturiscono da un sincero amore, non c’è dubbio, perché al netto di pochi intramontabili classici (forse davvero la sola Don't Play That Song di Ben E. King, guarda caso non tra le più riuscite, mentre la leziosa Nightshift dei Commodores parla più al pubblico pop), Springsteen ha volutamente setacciato nelle “retrovie”, tra gemme da intenditori e persino in tardive scoperte, come i Four Tops di When She Was My Girl (ritorno sulle scene del 1981) o i Temptations dimenticati di I Wish It Would Rain (brano del 1967), fino a ripescare nomi come Tyrone Davis (Turn Back the Hands of Time), Frank Wilson (Do I Love You Indeed I Do) o il grandissimo ma spesso dimenticato autore di casa Stax, William Bell (ben due episodi, la citata I Forgot To be Your Lover e Any Other Way, tra i momenti più ispirati del disco), che certamente non rientrano nell’immediato pantheon dei giganti del genere, piuttosto nell’affetto viscerale che solo un autentico “soul addicted” può vantare.

In questo senso Only the Strong Survive riesce ad assolvere al compito di spalancare le porte sui misteri e la bellezza di una musica che il grande pubblico mainstream raccolto intorno a Springsteen non conosce in tutti i dettagli (neppure la maggior parte di noi, possiamo confessarlo). È però una “missione” temporanea, che dura lo spazio di una stagione di amarcord, ma non ci dice esattamente cosa Bruce Springsteen voglia fare da qui in avanti per tornare a sorprenderci davvero. O forse sì, magari trasformarsi in quel semplice cantante, sgravato dal peso del suo mito rock.


    

 


<Credits>