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Autori Vari
Cant' Steal My Fire
The Songs of David Olney

[New West Records 2024]

Sulla rete: newwestrecords.com

File Under: the poet game


di Fabio Cerbone (21/10/2024)

“Anytime anyone asks me who my favorite music writers are, I say Mozart, Lightnin’ Hopkins, Bob Dylan and Dave Olney. Dave Olney is one of the best songwriters I’ve ever heard” – Townes Van Zandt

Quante volte si è fantasticato, in un misto di luoghi comuni e romanticismo d’accatto, riguardo la “bella morte” di un artista, magari su un palco, facendo ciò che più amava. A David Olney è capitato proprio questo, il 18 gennaio del 2020, durante l’annuale Songwriter Festival in Florida: nel bel mezzo della sua esibizione ha interrotto la canzone che stava suonando, ha chiesto scusa al pubblico presente e si è accasciato, probabilmente stroncato da un infarto. Quanto sarebbe stato meglio non solo che Olney non morisse a settantuno anni, ancora attivo sia a livello discografico, sia nelle esibizioni dal vivo, ma che il suo talento di songwriter venisse riconosciuto ancora in vita e non facesse invece notizia un’uscita di scena così tragica.

A porre parziale rimedio a questa ingiustizia, molto comune a una lunga schiera di artigiani della canzone americana come Olney, arriva oggi questo tributo intitolato Can’t Steal My Fire. The Songs of David Olney, nel quale l’amico e collaboratore di vecchia data Gwil Owen (insieme hanno firmato diversi brani) ha riunito un cast notevole di nomi del circuito folk e Americana per rendere omaggio alla figura dello scomparso autore di Providence, Rhode Island.

Se davvero un valore va attribuito alla moda, fuori controllo da troppi anni, degli album tributo, allora questo lavoro è uno dei pochi che di recente assuma un senso compiuto, con il compito di fare luce sulla produzione molto defilata di Olney, uno che era approdato come tanti suoi colleghi nella Nashville delle mille promesse a metà degli anni Settanta, ma che ha sempre navigato ai margini, un po’ per destino, un po’ per sfortuna, forse anche per una naturale propensione a frequentare con sospetto il music business che conta. Non a caso all’epoca si era fatto amici - lui che arrivava dalla East Coast, ma si era sintonizzato sulla stessa lunghezza d’onda dei nuovi “fuorilegge” – personaggi come Townes Van Zandt, Guy Clark, Steve Earle. Proprio quest’ultimo ha curato le note interne di Can’t Steal My Fire, raccontando un aneddoto divertente e rivelatore di quel mondo di autori che al tempo ruotava intorno al cosiddetto Music Row, il centro pulsante della Nashville discografica a caccia di nuovi talenti.

Lo stesso Steve Earle è presente in scaletta con una amorevole versione di Sister Angelina, così come il citato Townes Van Zandt chiude il qui presente tributo con una versione acustica, registrata dal vivo nel 1977, di Illegal Cargo. È l’unico brano tratto da materiale di archivio, mentre il resto del contenuto di Can’t Steal My Fire, sotto la direzione del produttore esecutivo Gwil Owen, è stato appositamente inciso per l’occasione dai partecipanti, che hanno risposto con generosità alla chiamata: tra questi la grintosa Lucinda Williams che apre le danze con gli strali elettrici di una nerissima Deeper Well, il Buddy Miller in veste dark country di Jerusalem Tomorrow, la Mary Gauthier dolente di 1917 o ancora il Greg Brown, assecondato dal fido Bo Ramsey alla chitarra, nel tono blues luciferino di That’s the Story.

Lucinda Williams, Deeper Well Dave Alvin, Steal My Thunder

Non sorprendono queste presenze, Olney ha sempre goduto di grande rispetto da parte dei colleghi, lui capace di donare alcune sue canzoni a grandi interpreti del genere (da Emmylou Harris e Linda Ronstadt l’elenco è nutrito) e al tempo stesso di rimanere, per così dire, appartato fra le quinte della scena che oggi definiremmo Americana. Ha giocato un ruolo in tutto ciò anche la sua “indecisione”, con gli esordi più rock all’interno della band The X-Rays, poi con una progressiva acquisizione del suo gesto country folk d’autore, non a caso finendo nella preziosa scuderia dell’etichetta Philo, casa per eccellenza di molti songwriter americani di culto. Lì ha pubblicato alcuni dei suoi lavori più interessanti, a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, per poi riprendere quota in periodi più recenti, soprattutto in Europa, dove il pubblico, specialmente quello olandese e tedesco, ha sempre mostrato un certo interesse intorno alla sua figura.

Da quell’ampia produzione attingono i sedici episodi suonati di Can’t Steal My Fire, cui si aggiunge lo stesso Olney per un breve inedito (il recitato di Sonnet #40) nel quale si evidenzia il suo volto più letterario, legato alla poesia: il resto è, come detto, nelle mani sia di nomi affermati del circuito roots, dove a quelli già annunciati si aggiungono il Dave Alvin in chiave rock blues di una spiritata Steal My Thunder (con l’accompagnamento del Rick Holmstrom Trio) o la coppia country di Jim Lauderdale (Delta Blue) e Jimmie Dale Gilmore (If It Wasn’t For the Wind), sia di musicisti meno noti ma di particolare qualità, tra i quali spiccano il redivivo Willis Alan Ramsey (con l’angelica ballata acustica per chitarra e violino di Women Across the River), autentica figura di culto della scena cantautorale texana, oppure il poeta e folksinger R.B. Morris con una Always the Stranger dai distanti profumi irish, e la brava Anana Kaye (che aveva collaborato proprio con David Olney nell’album a due voci Whispers and Sighs del 2021) in una Running From Love dal fitto tessuto rock. Rarissimi, per fortuna, i momenti trascurabili del tributo, forse rintracciabili soltanto in una Janis Ian un po’ troppo evanescente nella rilettura di She’s Along Tonight e nella goffaggine rock blues del vocione di Afton Wolfe e della sua Titanic, questa sì completamenre fuori contesto.

Non ci illudiamo che Can’t Steal My Fire. The Songs of David Olney ristabilisca chissà quali torti e dimenticanze subite in vita dalla carriera di Olney, ma certo sapere che ha saputo piantare un seme cpsì in profondità, una traccia ancora viva nei tanti colleghi che ne hanno apprezzato la scrittura musicale così lirica e scarnificata, è già un conforto per chi ancora crede in questo modo di fare musica.


La scaletta: brani e interpreti

1. Deeper Well - Lucinda Williams // 2. Sister Angelina - Steve Earle // 3. Voices on the Water - The McCrary Sisters // 4. Jerusalem Tomorrow - Buddy Miller // 5. If My Eyes Were Blind - The Steeldrivers // 6. Women Across the River - Willis Alan Ramsey // 7. 1917 - Mary Gauthier // 8. Always the Stranger - R.B. Morris // 9. If It Wasn't for the Wind - Jimmie Dale Gilmore // 10. Running From Love - Anana Kaye // 11. That's My Story - Greg Brown // 12. Sonnet #40 - David Olney // 13. Titanic - Afton Wolfe // 14. Steal My Thunder - Dave Alvin with the Rick Holmstrom Trio // 15. Delta Blue - Jim Lauderdale // 16. She's Alone Tonight - Janis Ian // 17. Illegal Cargo - Townes Van Zandt


 


<Credits>