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Folk-rock swan songs
di Gianfranco Callieri (20/04/2021)
E ci mancherà, David
Olney da Providence, Rhode Island (dov’era nato il 23 marzo del 1948),
e con lui ci mancherà il lignaggio nobile di quei cantautori molto meno
famosi di chi ne aveva interpretato le canzoni — Steve Earle, Linda Ronstadt,
Del McCoury, Emmylou Harris e Steve Young tra gli altri — ma non per questo
invidiosi o sgomitanti. Anzi, al contrario sempre pronti a dare una mano
ai giovani colleghi, a dispensare consigli senza ostentata presunzione
di sé, a prestare il proprio, disinteressato appoggio a chiunque volesse
cimentarsi nell’arte di raccontare una storia intrecciando note e parole.
Era accaduto anche questa volta, perché Whispers And Sighs,
canto del cigno d’una carriera lunga, frammentaria e soprattutto recondita
(esordiente con l’aguzza new-wave degli X-Rays alla fine dei ’70, dalla
seconda metà del decennio successivo Olney aveva messo insieme una trentina
di album all’insegna di ballate acustiche, erudite, tormentate dagli spettri
più cupi del country-rock), è nato in collaborazione con gli Anana
Kaye (in apparenza le generalità di una singola artista, e lo sono
pur facendo riferimento a un duo di stanza a Nashville, Tennessee), ai
quali regala parecchio spazio: magari non in termini di scrittura, essendo
quasi tutte le tracce recanti la firma di Olney, quanto davanti al microfono,
spesso riservato alla giovane collega di origini europee, e in sede di
arrangiamento, quasi sempre ceduta alle facoltà del compagno di costei.
Il risultato non è disprezzabile (non poteva esserlo) sebbene scopra il
fianco a qualche ingenuità che da Olney non ci si sarebbe aspettata, per
esempio il frequente ricorso agli archi in qualità di strumenti capaci
di nobilitare brani altrimenti esili, o già sentiti, o un minutaggio d’insieme
a dir poco spropositato (cinquanta minuti di cui almeno quindici del tutto
inessenziali) tirato per le lunghe giusto per rievocare le suggestioni,
la bellezza, l’estetica e l’impegno, interiore se non civile, d’un modo
di fare musica che non c’è più.
Svettano sopra la media la serenata gentile di Behind
Your Smile, il rock and roll tra Bruce Springsteen e Rolling
Stones dell’incalzante Last Days Of Rome, il folk elegiaco e senza
un accordo di troppo della paradigmatica Tennessee
Moon, la melodia zingaresca di Thank You Note; tutti
quegli episodi, insomma, grazie ai quali si capisce perché Townes Van
Zandt, nel 1991 di Roses (terzo album solista di Olney), avesse
definito il musicista del New England «il suo autore preferito» assieme
a «Mozart, Lightnin’ Hopkins e Bob Dylan».
Ciò nonostante, Whispers And Sighs non è certo la tappa da cui
partire nel caso vogliate fare la conoscenza della scrittura di Olney,
della verbosa profondità del suo folk-rock tentato da poemi country e
scossoni elettrici, dei suoi versi meditabondi, sbilenchi, come creati
da uno sguardo perso in lontananza, in grado di contenere le presenze
del passato e i fantasmi di un presente sul punto di dissolversi. Per
quello meglio rivolgersi al già perfetto Deeper Well (1988) o allo
straziato Ache Of Longing (’94), oppure ancora allo spartano Ghosts
In The Wind (’02), quest’ultimo dal vivo: si tratta degli album in cui
le composizioni e il linguaggio in bianco e nero del nostro, così densi
e raccolti da farsi onirici, mettevano in mostra le caratteristiche non
riproducibili di uno stile forse non sempre agibile, o piacevole da sviscerare,
ma contraddistinto dal dono di non somigliare a nient’altro.
Di questo stile, Whispers And Sighs reca traccia soltanto
parziale, ma lo stesso, non si può non accoglierlo con l’affetto e il
rispetto da mostrare a chi, legato alla musica e alle sue muse fino all’ultimo,
è morto sul palcoscenico (nel gennaio del 2020, al terzo brano di un concerto
tenutosi nella località balneare di Santa Rosa Beach, in Florida), chiedendo
scusa al proprio pubblico e reclinando il capo per consegnarsi, dopo una
vita di canzoni, al riposo eterno.