Quanti avrebbero scommesso sulla carriera esplosiva di Jason Isbell undici
anni fa, allor quando il chitarrista e autore dell'Alabama lasciava il lido sicuro
dei Drive-By Truckers, e un ruolo sempre più prominente all'interno della band,
per affrontare un viaggio solista ricco di incognite? Nell'arco di sei dischi
di studio, con la maturazione del sound in combutta con i 400 unit, Isbell ha
invece conquistato un posto al sole dell'Americana, diventando di fatto l'artista
di punta del genere e consacrando questa posizione attraverso un'incetta di premi
ai Grammy Awards e presso l'Americana Music Honors & Awards. La benedizione del
music business e l'impennata di popolarità e vendite è giunta soprattutto con
gli ultimi tre lavori, dalla svolta più intimista di Southeastern al gemello Something
More than Free, per compiere quindi una sintesi in The Nashville Sound nel 2017.
Proprio a Nashville, nel tempio country del Ryman Auditorium, si sono
tenute le sei serate consecutive del più recente tour con i 400 unit, un 'sold
out' prevedibile da cui scaturiscono le registrazioni del qui presente Live
from the Ryman, innegabile celebrazione del momento di gloria e fotografia
fedele dell'intesa raggiunta sul palco con il gruppo, qui cementato dalla sezione
ritmica formata da Chad Gamble e Jimbo Hart, dalle tastiere di Derry DeBorja e
dai preziosi controcanti strumentali della compagna di vita Amanda Shires al violino
e del funambolico chitarrista Sadler Vaden. È il quarto live ufficiale nella discografia
di Isbell, segno che la proposta dal vivo è condivisa come un passaggio di crescita,
una messa alla prova per lo sviluppo delle sue canzoni e del rapporto con i musicisti.
Erano apparsi, infatti, il mini Live at Twist & Shout, che testimoniava le prime
avvisaglie del dopo Drive-By Truckers, quindi il più sostanzioso Live
from Alabama, arrichito da qualche intervento di una sezione fiati,
ma assai più scarno e sudista nella resa sonora rispetto ad oggi, quindi una pubblicazione
limitata per il Record Store Day (Live From Welcome To 1979).
Live from
the Ryman sfoggia subito intenzioni auto-elogiative, forse anche eccessive, scegliendo
tredici brani che volutamente pescano dal repertorio più recente (ben cinque da
The Nashville Sound, quattro a testa da Southeastern e Something More than Free),
a rimarcare i trionfi di queste stagioni e il suono che gira nella testa di Isbell
e dei 400 Unit in questo passaggio storico. Messi da parte dunque sia le succose
cover, che di tanto in tanto popolavano la scaletta, sia soprattutto alcuni tra
gli episodi più interessanti di Here We Rest o dell'omonimo Jason Isbell and the
400 Unit, ancora adesso tra i frutti migliori della sua carriera. L'effetto è
quello di apprezzare l'evoluzione in positivo degli arrangiamenti in brani quali
Cumberland Gap, Hope the High Road,
la trascinante resa di Last of my Kind o White
Man's World, rispetto alle versioni di studio, che non sempre si erano mostrate
all'altezza (The
Nahsville Sound continua a sembrarmi il disco meno efficace dell'intera
produzione di Isbell, a lambire pericolosamente note di mestiere).
Isbell
è indubbiamente carico nell'interpretazione, compresi errori e ingenuità passionali
nella voce, comunque una delle sue armi migliori: il trasporto è fuori discussione
e i momenti più acustici e confessionali, quali Flagship, la commovente
Elephant e Cover
Me Up documentano la qualità del songwriting e il ruolo indiscutibile
che l'artista ha occupato all'interno del linguaggio Americana odierno. Nell'approccio
heartland rock più plateale di Flying Over Water, della citata Hope
the High Road e nei bis con Super 8 la
band appare invece energica, trascinante senza dubbio, e tuttavia un po' costretta
all'interno della sua formula. Che resta in fondo il tratto distintivo di tutto
Live at the Ryman, compresa un'incisione non esattamente all'altezza delle intenzioni:
in presa diretta (niente soundboard?), pare inseguire volutamente la spontaneità
e un pizzico di "sporcizia", che peraltro non può emergere più del dovuto da uno
stile come quello dei 400 unit. Questa scelta sembra azzoppare in parte il disco,
al netto della qualità media delle canzoni, che restano chiaramente tra le espressioni
più riuscite delle scena rock tradizionalista attuale.
Al prossimo capitolo
in studio spetta chiarire se Isbell vorrà lanciarsi ancora di più
"down in the mainstream"
o provare a scuotere l'albero delle sue canzoni: Live at the Ryman non vuole e
non potrebbe neppure risolvere la questione.