C’è una sorta di agrodolce indolenza che attraversa
queste canzoni, qualcosa che rimanda inevitabilmente a un periodo preciso
della storia del rock indipendente americano, quella metà degli anni Novanta
nella quale la sonnecchiosa provincia si risvegliava sulle note a bassa
fedeltà dei Pavament, ripassava a memoria i riff di Neil Young con la
complicità dei Dinosaur Jr. di J Mascis e scopriva il fascino della memoria
passata con l'alternative country di Uncle Tupelo e Son Volt, dando voce
così ai ragazzi della porta accanto. Mark Jacob Lenderman, venticinquenne
chitarrista e autore di Ashville, North Carolina ridà corpo e suono a
una forma di rock’n’roll che sembrava un po’ sparita dall’orizzonte:
Manning Fireworks affonda mani e piedi in quella stagione, resuscitando
languori elettrici e country rock barcollante che tanto ci avevano entusiasmato.
Sarà dunque un po’ di effetto nostalgia che ci tradisce, perdonate, ma
il nuovo lavoro solista di MJ Lenderman, inciso in quasi totale
solitudine al Drop of Sun Studios della sua Ashville, ha la capacità di
dissotterrare sonorità che prima di tutto rappresentano un modo di essere
e di sentire la vita, così come effettivamente emerge dei nove episodi
che compongono l’album, un mix di inquietudine, tristezza e propensione
a ironizzarci su. Un disco che arriva dopo una costante crescita di pubblico
e critica, dall’interessante Boat Songs del 2022 alla più esposta
carriera con i Wednesday,
indie band formata con l’ex compagna Karly Hartzman che ha messo a frutto
una comune sensibilità musicale, sebbene Lenderman riservi alla sue uscite
soliste il lato più “classico”, per così dire, della sua natura di chitarrista
e songwriter, raccontando le sue insicurezze attraverso ballate e rock
song che sono piccoli cortometraggi della quotidianità di un ragazzo americano,
a partire proprio dal pigro pencolare country della stessa Manning
Firewoks, che ribadisce l’amore dichiarato di MJ per la musica
del compianto Jason Molina, altro eroe dello spleen americano di provoncia.
Meno irruento e cacofonico dell’eccitante album dal vivo Live
and Loose!, pubblicato sul finire dello scorso anno in combutta con
la band di amici ribattezzata The Wind, il nuovo disco di studio sceglie
una forma più smussata e adulta che muove in direzione di un esemplare
alternative country, con tanto di mobida steel guitar sullo sfondo, sia
nella sua versione “leggera” di Joker Lips
che in quella più agitata ed elettrica di Rudolph e Wristwatch,
che qualcuno potrebbe anche confondere per una sessione perduta tra Jay
Farrar e J Mascis di fine anni Novanta.
La voce restituisce le inflessioni ideali per questo tipo di suono e per
le storie che vi si appiccicano addosso: da lì arriva un singolo che sfiora
la perfetta imperfezione indie rock dei Pavement come She’s
Leaving You, e così le chitarre abrasive modello Neil Young
& Crazy Horse che covano sotto le ceneri di una svogliata On My Knees,
mentre il violino “stonato” di Rip Tom torna verso la campagna
del North Carolina e il finale di Bark at the Moon raccoglie scampoli
di adolescenza di MJ lenderman in una coda musicale che saluta l’ascoltatore
in un mare calmo di feedback.