“Il ratto vide Dio” è l’indecifrabile titolo del
quarto album in studio dei Wednesday, il produttivo (iniziarono
nel 2020) gruppo shoegaze proveniente dalla periferica Asheville, North
Carolina. Apprezzato dalla critica, d’oltre oceano e nostrana, si può
concordare che Rat Saw God sia il loro lavoro più rilevante
fino a questo momento, pur essendo coerente con quello che è stato fatto
in passato, cioè negli ultimi tre anni: infatti, c’è ancora il recupero
di suoni e atmosfere provenienti dagli anni Novanta, d’altronde inevitabile
quando ci si rifà allo shoegaze, genere nato proprio in quel periodo
che, tra l’altro, non ha mai smesso di avere nuovi discepoli negli ultimi
tre decenni, senza però perdere una propria identità precisa, non afflitta
dalla nostalgia, sentimento tanto di moda oggi, utile soltanto a mascherare
la mancanza di idee nuove.
Del resto, i Wednesday – la cantante Karly Hartzmann, Jake Landerman e
Xandy Chelmis alle chitarre elettriche, Margo Schultz al basso, e Alan
Miller alla batteria – richiamano, citano, ma mai copiano, hanno un loro
specifico sapore, che in Rat Saw God è particolarmente amaro: le
liriche scoraggiate, o meglio ancora, amaramente consapevoli del senso
di vacuità che spesso si prova nei confronti della propria vita – “Found
out who I was and It wasn’t pretty” (What’s So Funny) -, sono affondate
tra le grida della Hartzmann e le chitarre effettate, distorte, volte
a travolgere e avvolgere le orecchie dell’ascoltatore in un flusso sonoro
continuo; ogni brano dell’album è a metà tra la distorsione dissonante,
più accentuata in quest’ultimo lavoro rispetto ai precedenti, e la melodia,
una delicata melodia, così come la voce di Karly Hartzmann, spinta in
alcuni momenti ad urlare fino a perdere quasi il fiato (come in quel “Finish
him” di Bull Believer) e in altri più dolce, soprattutto in quei
brani dal sapore alt-country come Chosen to Deserve,
dove viene descritta, attraverso una serie di vicende personali, quella
fase della relazione nella quale vengono raccontate le parti meno piacevoli
di sé stessi, con un ritornello incoraggiante, in cui i difetti dell’altro,
e di sé stessi, vengono accettati.
Ma dalla grande confusione sonora, a tratti a tinte cupe, musicalmente
e liricamente – da Turkey Vultures: “At night I don’t count stars,
I count the dark”-, caotica e assordante, emerge sempre, complessivamente,
una melodia unica, instabile, pendente tra la violenza e la dolcezza.
Rat Saw God è un ottimo disco, il migliore dei Wednesday, e merita
assolutamente un ascolto.