Di
ritorno dalla pausa solista, sancita con la pubblicazione di Here
in the Deep - in fondo non così distante dal percorso principale -
Dave Heumann riunisce il gruppo a quattro anni dagli ultimi segnali di Coming
Out of the Fog. Tra le punte di diamante di certo rock psichedelico
dalle trame folk e settantesche dei nostri giorni, gli Arbouretum avevano
toccato vertici di grande ispirazione e maturità in quell'opera e la curiosità
di capire in quale direzione si sarebbero mossi aumentava di pari passo con questa
lunga attesa. Song of the Rose conferma una sorta di ciclico movimento
dello stile musicale della band, in apparenza fedelissimo a certe strutture, quasi
immobile nel rivoltare lo stesso terreno, fatto di ballate epiche, di chitarre
acide e melodie dai ricami folk rock un po' ancestrali.
Tuttavia c'è una
luce diversa in questo disco, e persino un'armonia meno cupa del solito, forse
il riflesso di una produzione più curata, che ha visto il gruppo di Baltimora
lavorare per diverse settimane al perfezionamento del repertorio. In questo senso
Song of the Rose suona come la raccolta meglio definita a livello sonoro della
loro storia, sebbene non sia la più affascinante e forse neppure quella che li
identificherà storicamente. Gli otto episodi ribadiscono però il dialogo sempre
più stretto fra le chitarre di Heumann e le tastiere di Matthew Pierce, elemento
quest'ultimo tanto essenziale quanto poco appariscente, che tratteggia le spirali
luminose di brani come Comanche Moon, Absolute
Song, Dirt Trails o l'onirica Fall from an
Eyrie. L'impatto solenne e ipnotico degli Arbouretum si conserva intatto
nel manifesto di apertura Call Upon the Fire,
così come la loro propensione ad indagare le brume del folk britannico e a stravolgerle
sotto una colata di acid rock (la stessa title track).
Più contenuti e
controllati nella parte ritmica (Corey Allender e Brian Carey), ma sempre capaci
di abbandonarsi all'elettricità debordante (proprio il finale di Song
of the Rose, la chiusura di Woke Up on the Move), gli Arbouretum
hanno subito più di altre occasioni l'impatto delle liriche di Heumann, ancora
una volta suggestionato da filosofia, misticismo e arti orientali, attirato dall'anima
della natura, dedicando questo disco all'armonia e all'equilibrio, temi che gli
derivano dalla passione per il Taoismo. Tutto ciò potrà far sorridere nel contrasto
con il senso terreno di questo rock magmatico e psichedelico, ma è l'anima di
una band che certamente non sembra interessata alla banalità del presente e prova
se non altro a investire le sue composizioni di una scrittura quasi metafisica,
lontana dalle regole canoniche del songwriting. Anche questo, insieme al fascino
trascinante delle sonorità degli Arbouretum, continua a distinguere il loro percorso
artistico.
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