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psychedelic folk, cosmic rock di
Fabio Cerbone (31/01/2013)
Opera
di sintesi - come era lecito attendersi dopo un meticoloso lavoro di affinamento
della propria espressione musicale, lungo cinque "progressivi" album - Coming
Out the Fog potrebbe essere il disco che riuscirà ad imporre definitivamente
gli Arbouretum come capifila del cosiddetto linguaggio classic rock traghettato
negli anni 2010. Le nebulose suggestioni, a volte tormentate, altre pacifiche,
racchiuse nel songwriting di Dave Heumann, vero deus ex machina della formazione,
non hanno mai fatto mistero della loro dipendenza da un'età dell'oro, dove psichedelia
americana e inglese, retaggi prog-folk, virate heavy plumbee, persino impennate
garage condensavano gli anni Settanta più sperimentali con la tradizione americana
e al tempo stesso non sconfinavano nella messinscena di una semplice rievocazione,
conservando invece un legame strettissimo con la generazione attuale di Will Oldham
(con cui Heumann ha collaborato in passato), Jason Molina (Songs:Ohia, Magnolia
Electric Co.) e Damien Jurado, insomma di tutti quei ragazzi tristi che il contemporaneo
foklore americano ha svelato al mondo.
Heumann è uno di loro a buon diritto
e oggi lo sottolinea con inedite, affascinanti sortite in una sorta di Americana
"cosmica", tra la fragile, onirica melodia agreste di Oceans
Don't Sing, segnata dalla pedal steel dell'ospite Dave Hadley, tanto
quanto il finale commovente della stessa Coming Out Of
The Fog, dove il piano aggiunge un'armonia quasi lennoniana e tristanzuola
da sciogliersi all'istante in un mare di lacrime. Uno strumento, il citato pianoforte,
così come gli strali di tastiere e synth dell'ultimo arrivato Matthew Pierce,
che ha accresciuto senza snaturarlo il sound arcigno della band già a partire
dal granitico The
Gathering, precedente assalto in atmosfere più rocciose ed elettriche.
Le stesse che gli Arbouretum non hanno affatto abbandonato in Coming Out Of The
Fog, semmai temperando oggi l'arte della scrittura, ragionando di più in sede
di registrazione, dedicandosi ad una densa, languida stratificazione del loro
suono. Ecco dunque che le prepotenze psichedeliche delle chitarre di Heumann saltano
ancora allo scoperto, svicolando lungo le trame rallentate, ondeggianti di The
Long Night e Renouncer, oppure fra la coltre lugubre di
The Promise, quest'ultima con un battibecco impazzito nel finale tra
chitarra solista e tastiere distorte, la più innegabilmente poderosa del lotto,
con accenti persino kraut rock.
Le forme tra il il naturalistico e il
religioso delle liriche, il senso metafisico che la stessa musica degli Arbouretum
evoca, dispiegano questa sorta di filo rosso con certo immaginario irreale e fiabesco
dei seventies, chiedendo uno sforzo per calarsi in un'onda sonora che accompagna
i quasi sette minuti di All At Once, The Turning Weather
e che sembra trasfigurare il folk elettrico di Richard Thompson (innegabili le
somiglianze di tono nella voce di Heumann, come in molti hanno giustamente sottolineato)
in una tempesta heavy rock figlia dei Black Sabbath (o forse meglio dei più
misconosciuti High Tide) oggi chiamata World Split Open,
prima di abbandonarsi alle spirali strumentali di Easter Island. Magici,
misteriosi, anche un po' solipsistici come si addice al loro stile, gli Arbouretum
trascendono antico e moderno per diventare semplicemente classici.