The Reverend Peyton's Big Damn Band
Between The Ditches
[
SideOneDummy
2012]

www.bigdamnband.com


File Under: big damn country blues

di Fabio Cerbone (17/12/2012)

Non cambiano - fortunatamente, andrebbe forse aggiunto, per una formazione di questa tempra - le coordinate della strampalata famiglia musicale ribatezzata The Reverend Peyton's Big Damn Band. È senz'altro vero che Between the Ditches sottolinea orgoglioso il suo percorso più "ragionato", album concepito presso i White Arc Studio con Paul Mahern (ingegnere del suono per John Mellencamp) con minore foga e senza l'attitudine prettamente live dei precedenti, ma gli esiti non si distanziano poi eccessivamente dalla cifra stilistica della produzione di questo combo dell'Indiana, ovverio sia un orgiastico mix di delta blues, hillbilly music, country rurale e tinteggiature gospel, sulle quali troneggia il vocione del condottiero Josh Peyton.

È anche grazie alla sua traboccante figura extra large, e più in generale all'impatto visivo divertente e ironico dell'intero gruppo, che abbiamo imparato ad apprezzare il lavoro di recupero e svecchiamento della tradizione southern blues in lavori quali The Whole Fam Damnily e The Wages. Collettivo che sulla personalità spiccata del suo canto continua a fondare le dinamiche di un sound aguzzo e terrigno, dove il country blues delle origini può ancora trovare una ragione di modernità e non un posto defilato in una teca da museo, la Big Damn Band non è altro che un "rattoppato" trio sostenuto soltanto dall'incedere percussivo della compagna Breezy Peyton (pricipalmente al washboard) e del batterista Aaron Persinger, seppure questa volta contorniati da qualche coro in odore di vecchio sud e inni gospel.

C'è senza dubbio un maggiore senso delle misura fra le note, una pulizia sui generis sia chiaro - perché il marchio è ancora grezzo e spontaneo - che tuttavia non snatura il carattere brusco del trio, anche perchè quella vecchia Gibson nella mani di Josh Peyton scivola ancora sulle note di un antico crocicchio, accostando un blues sinistro ed elettro-acustico degno delle uscite di casa Fat Possum (Something for Nothing, Shake Em Off Like Fles), ad un rock'n'roll scheletrico e fangoso (Big Blue Chevy '72), accennando ballate che si colorano di spiritual e vecchie cartoline di canti da lavoro (We'll get Through, la parossistica Easy Coem Easy Go), finendo naturalmente nelle braccia della tradizione (Don't Grind It Down, la lode al proprio piccolo mondo di Brown County Bound nel finale). Di questo passo la continuità della specie è garantita, ma non si ha la sensazione di assistere semplicemente ad un baraccone in preda alla smania da revival.


    


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