Daniele
Tenca Blues
for the Working Class
[Ultratempo 2010]
Il "blues per la classe operaia" di Daniele Tenca è un canto accorato
per gente, storie e volti che troppo spesso finiscono nel dimenticatoio:
sono le morti sul lavoro, lo sfruttamento, il ricatto (di chi è senza
contratto o interinale) e infine la fatica e il sudore al centro di questi
blues, un progetto coraggioso e nobile (ma anche musicalmente apprezabile,
sia detto chiaramente) che nasce da una collaborazione con l'ANMIL (Associazione
nazionale mutilati e invalidi sul lavoro) proprio per sostenere le troppe
vittime del lavoro. Argomento ciclicamente consumato dagli organi di informazione,
digerito e poi ributtato nell'ombra, come se a fare notizia fosse qualche
incidente "sporadico", salvo tornare al solito rumore di fondo della politica
(la stessa che si sta preparando ad annullare qualche indagine scomoda
- vedi Thyssen - con la scorciatoia del "processo breve").
Daniele Tenca, cantautore e rocker di educazione springsteeniana, esce
questa volta dal suo campo d'azione più naturale (lo avevamo incontrato
anche in questa rubrica con l'esordio Guarda
il sole) per allestire una piccola opera blues (ma con qualche
deviazione rock nelle vene, a partire dalla vibrante, rabbiosa 49
People) dove la forza e la malinconia tipica di questo stile
può trovare terreno fertile nelle liriche dello stesso Tenca. Due solamente
le cover - indicative per il tema trattato e soprattutto per la provenienza
- ovvero una Factory (naturalmente
Springsteen) trasformata in un blues sudaticcio alla Muddy Waters e la
più ossequiosa Eyes on the Prize,
traditional che dalle famigerate Seeger Session viene ripreso con devozione
insieme agli ospiti Marino Severini (Gang, seconda voce) e Cesare
Basile (cori, cigar box guitar).
È proprio nella dimenzione più raccolta e acustica di alcuni brani che
la voce di Daniele Tenca - non esattamente blues per espressione e intensità
(il sound virato al Chicago blues delle varie Cold
Comfort e My Work no Longer Fits for
You risulta meno coinvolgente o forse soltanto più standard)
- riesce a ritagliarsi uno spazio: funziona nel clima da profondo Mississippi
di The Plant, ancora di più nella
sinuosa e notturna Flowers at the Gates
o nella rarefatta Spare Parts, forse
la migliore della raccolta. In generale la scelta a favore di arrangiamenti
essenziali e "rootsy" sembra anche garantire più attenzione
ai testi: scorre un senso di rabbia e angoscia per la condizione operaia
dei nostri giorni che la ripetitività ritmica del blues amplifica e persino
esalta. In tal senso il finale con This Working
Day Will be Fine (all'armonica Andy J Forest) ne è l'espressione
più riuscita. Nell'insieme dunque non il solito disco blues: per gli argomenti
e l'intenzione senza dubbio, ma anche per una certa versatilità nei suoni. (Fabio Cerbone)
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