Finalmente
possiamo andare fieri di avere anche noi la nostra terribile coppia
di fratelli del rock'n'roll: è giunto infatti il momento di
innalzare le lodi della famiglia Diamantini (Marco e Michele),
che in compagnia del basso di Alessandro Grazioli e la batteria
di Francesco Zanotti sono l'anima pulsante dei Cheap
Wine, una certezza irrinunciabile per il presente del rock
italiano e si spera una colonna portante per quello futuro. Se le
parole spese vi sembrano esagerate o fin troppo banali e propagandistiche,
è forse il caso di mettere in luce tutto il valore di un disco
come Ruby Shade, terza prova del gruppo pesarese, dopo l'interessante
esordio di Pictures e la splendida conferma con A better
place.
Le coordinate sonore dei Cheap Wine non sono cambiate per nulla, ma
l'impatto è ancora più convincente: un sound corposo,
compatto, che cattura tutta la vigorosa energia della band, dando
maggiore forma però alle canzoni, con arrangiamenti e produzione
senza sbavature. Quello che colpisce è soprattutto l'elevata
qualità dei brani, quasi settanta minuti di artiglieria rock
di prima classe, senza cedimenti o indecisioni.
Suono unitario certo, ma non monolitico, perchè agli indiscutibili
"pruriti" rock'n'roll del gruppo si aggiungono una sensibilità
spiccata per ballate dal timbro urbano, arricchite dall'organo di
Alessandro Castriota, fornendo quindi una ricetta varia e stimolante.
Se l'apertura di Angel fa pensare subito alla migliore tradizione
stradaiola americana, qualcosa sospeso a metà fra Springsteen,
Mellencamp e il nuovo roots rock provinciale, Bad Guy porta
in superficie le radici punk del gruppo, accompagnate però
da una sensibilità tale della materia rock, che può
solo rimandare alla grande e seminale stagione dei Dream Syndicate.
Fuoco e fiamme anche nella tiratissima Devil's on my side,
nell'arcigna Dead city e nella gemella Break it down,
in cui semplicità, aggressività e chiarezza d'intenti
fanno muovere a pieni giri il motore dei Cheap Wine.
Di ballate quali la stessa title track o So far away si sono
in qualche modo già anticipati i contenuti: ci sono soprattutto
passione ed un grande rispetto verso la classicità del rock,
qualità sempre più rara di questi tempi e troppo spesso
liquidata con un superficiale giudizio di "derivazione".
La voce di Marco Diamantini si inserisce alla perfezione nel
muro di chitarre fragorose (tra punk, tirate hard e suggestioni sudiste)
del fratello Michele, "ruba" la timbrica e le sfumature
a Steve Wynn e tutto il gruppo ripercorre la via aperta
dal Paisley Underground nella splendida Crazy Hurricane, o
nella tensione latente della slide di A blaze in the dark.
Set up a rock'n''roll band sembra scritta apposta per farti
venire una voglia matta di maltrattare la tua chitarra (personalmente
è quello che ho fatto), Easy Joe viaggia sul border
con un forte sapore western tra le righe e Mary dà la
buona notte con visioni desertiche e psichedelia, pagando ancora una
volta il sentito tributo alla venerata coppia Wynn-Stuart.
Una della uscite rock più entusiasmanti dell'anno in corso,
e non mi sto riferendo ad una ristretta visione nazionale...
(Fabio Cerbone)
Intervista
a Marco Diamantini
www.cheapwine.net
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