Potrebbe essere lo sguardo
sul mondo di un adolescente di qualche tempo fa, quello di Graziano
Romani, che scopre la ruggine dietro i mille abbagli colorati del
mondo attuale, ma non smette mai di sognare. Painting Over Rust
è proprio questo, e quanto ci arriva dalla Terra Dei Sogni (Dreamland)
del precedente lavoro di un'anima libera del rock'n'roll, che continua
la sua strada più vera e sincera attraverso una musica condita dell'altra
America, e delle stesse asperità della sua voce matura e grezza, calda
abbastanza da non arrendersi neppure ai margini della fredda notte autostradale.
Ad accompagnarlo nel suo viaggio, amici fidati e compagni dai tempi dei
Chairs, l'amico Elliot Murphy e Mel Previte, ex chitarrista
dello storico gruppo di Graziano, ora ospiti in alcune tra le songs migliori
del disco, l'uno in Get Togheter Soon, l'altro nella quinta King
Of Brokenhearted e in In The Quest For A Good Time. Il resto,
oltre ai due pezzi insieme a David Scholl - quella seconda traccia
Brave Enough e la penultima Faithless Time - con la rodata
Up In Dreamland band, in corso di perfezionamento proprio mentre durante
il tour dell'album precedente nasceva, da alcune acustiche demo-tapes
del rocker e da una notte senza meta, il nuovo Painting Over Rust. Su
quella cassetta i tredici pezzi che, riarrangiati insieme alle chitarre
di Fabrizio "Tede" Tedeschini e al set ritmico di Max Ori
al basso e Pat Bonan alla batteria, col sax del mitico Max "Grizzly"
Marmiroli e gli archi & keyboards di Francesco Germini, costituiranno
l'ossatura di un altro lavoro dall'inguaribile e-street sound. Un album
senza nessuna di quelle cover ricercate, che spesso Graziano Romani ama
aggiungere ai suoi lavori arricchendole di una grande sensibilità interpretativa,
ma a pieno titolo un disco a suo nome, concepito in un songwriting del
tutto particolare, che dall'apertura in piena title-track all'ultima canzone,
si colora della speranza dietro le difficoltà della vita vissuta. E' questo
il suono all'inizio, che non tralascia l'energia neppure nelle più dolci
ballads, accompagnate dall'incedere all'unisono di tutta la band. Così
ancora Brave Enough tra cori, organo, chitarre quasi simmetrici, o le
più elettro-acustiche When Our Souls Ignite e Lonely As A Cloud.
Riprende le fila del discorso iniziato con la traccia d'apertura di nuovo
King Of Brokenhearted, grande nell'arrangiamento tra sax e chitarre, esplicite
nei richiami springsteeniani. Tears In My Beer, malinconica nel
giro di basso e nell'ululato di un'armonica lontana, è più notturna ed
apre un lato dell'album più vario. E'ancora rock'n'roll per le tracce
7 e 8, Oh Beatiful One, e In The Quest For A Good Time, veloce
quest'ultima come una notte di bagordi. Ma è Get Togheter Soon con Elliot
Murphy la migliore, con accompagnamento d'archi fantastico, e la seconda
voce della guest star più sussurrata e poetica, quanto più bella che mai
nell'accostamento alle profondità dell'altra voce leader. Lead Me On,
Saint Jude nulla toglie al resto del disco, che avrebbe potuto chiudersi
anche qui, se non fosse che From Our Hands è la più differente
dal resto, lenta e lontanamente progressiva. Originale negli arrangiamenti
e nella melodia tra chitarre e viola, anche Faithless Time, coi
controcanti del già citato Scholl. Chiude Thirteen, ed il pensiero
ritorna nel pezzo arpeggiato con refrain che non si dimentica, a quel
adolescente poco sopra che nonostante tutto, non smette mai di sognare.
(Matteo Fratti)
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