Graziano Romani - Up in Dreamland Freedom Rain 2003

Houston (anzi: Scandiano), abbiamo un problema. Già, perché come la mettiamo adesso con gli americanofili a tutti i costi, quelli che un menestrello afono di Fort Lauderdale è comunque meglio di un rocker di stoffa nato nella provincia di Reggio Emilia, P.P.P. (Profonda Pianura Padana)?.
Graziano Romani sarà anche cresciuto tra le badlands della P.P.P. e non, magari, nei vicoli suburbani del Queens, N.Y. (New York), eppure, signori miei, ci vorrebbe proprio un A.L. (Audioleso) per disconoscere a Up In Dreamland la patente di riuscitissimo A.O.R.R. (American-Oriented Rock'n'roll Record). Alla guida degli indimenticati Rocking Chairs prima, nel contesto di un coraggioso percorso solista poi, Graziano sta scrivendo pagine importanti del rock tricolore (ma non "all'italiana", grazie a dio!), perfettamente in grado di reggere il confronto coi classici d'oltreoceano alla cui lezione il nostro, in modo più o meno esplicito, va rifacendosi. L'immancabile Bruce Springsteen, per dire, gratificato due anni fa di un intero cd di covers - Soul Crusader - e qui omaggiato con una Frankie (estratta dal forziere di Tracks) appena incattivita; Peter Gabriel, addirittura, del quale viene ripresa una Mother Of Violence di rara forza evocativa. Il bello è - ci credereste? - che i due episodi appena citati sono tutto sommato quelli più trascurabili all'interno di un disco dove la scrittura e l'espressione di Graziano raggiungono livelli forse mai archiviati in precedenza. Una maggiore attenzione alle sfumature del songwriting? Testi finalmente lontani da qualsivoglia cliché d'importazione? Inedita genuinità nell'assemblaggio? Chissà, resta il fatto che Up In Dreamland non solo è il disco migliore di Graziano, ma un'opera che tutti gli amanti di certo rock maleducato, spruzzato di soul e sorretto da una spina dorsale fieramente stradaiola non dovrebbero lasciarsi sfuggire. Vi troveranno, costoro, l'elettricità arrembante di una Let's Come Alive tra Tom Petty e U2, di Que Pasa Loco Baby? (provvista della stessa infiammata compattezza degli ultimi Wallflowers) e della stonesiana Another Day come pure gli accenti rootsy di Every Road I Travel o Jezebel, senza dimenticare il drive chitarristico di Shine Your Light, la superba parentesi per piano e voce di Where Do We Go From Here o il sassofono umido del vecchio compagno Max "Grizzly" Marmiroli che ruggisce malinconico nello street-rock di Face The World e regala rintocchi soul alla meravigliosa ballata The Bridges You Burn. Insomma, in Giamaica Graziano ci sarà stato solo in vacanza, però ha saputo uscirsene col reggae irresistibile di Don't Close Your Eyes. Allo stesso modo, il New Jersey l'avrà sognato stringendo tra le mani la copertina di Greetings From Asbury Park, ma vi assicuro che la title-track sembrerebbe proprio spuntare da un volume a caso delle outtakes di Darkness. E quindi, con gli americanofili a tutti costi, come la mettiamo? Be', ragazzi, noi ci godiamo Up In Dreamland e di quelli, come al solito, C.N.F.A. (Ce Ne Freghiamo Altamente).
(Gianfranco Callieri)

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