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La storia dei Lowlands - band pavese che nel giro di qualche stagione si è imposta fra le più interessanti realtà del suono roots rock in terra italiana - è sempre stata in qualche modo "tormentata", non fosse altro per una sorta di grande comune allargata, musicisti e collaborazioni sparse che sono entrati in contatto sopra e sotto il palco. L'ultima testimonianza in ordine di tempo l'ammirevole progetto Better World Coming, tributo a Woody Guthrie nato nei ritagli di tempo, che includeva la crema di una scena rock locale vivacissima. Un po' di questo spirito anarchico, ma soprattutto di questo coraggio, è rimasto a Edward Abbiati e compagni anche nella concezione di Beyond, disco spartiacque che cambia le carte in tavola per la band. Innanzi tutto della line-up principale le sole presenze fisse sono rimaste quelle di Roberto Diana alle chitarre, con l'aggiunta del prezioso Francesco Bonfiglio (organo, piano, accordion), mentre la sezione ritmica poggia adesso sulle spalle robuste di Rigo Righetti e Robby Pellati (Rocking Chairs, Ligabue), pezzo di storia del rock stradaiolo "made in italy". Con il nuovo assetto i Lowlands inseguono chiaramente un gesto più elettrico e un suono livido che in parte cerca di riprodurre l'intensità rock dei loro live show (da sempre apparsi più carichi rispetto alle incisioni di studio). Il nuovo lavoro si apre così sulla scudisciata hard-psichedelica di Angels Visions, inedita veste di un gruppo solitamente più vicino alle dinamiche del folk elettrico. Un minuto e mezzo scarso, un farfisa che riporta alla stagione del post punk e i versi incalzanti di Edward Abbiati completano un cambiamento importante, sottolineato anche dalla produzione per metà americana di Joey Huffman (Soul Asylum, Drvin'N'Cryin' e molti altri nel suo curriculum). L'irruenza fa tanto backstreets a livello di immaginario e di suono, mentre il timbro da rock urbano si riverbera anche nelle successive Hail Hail e Lovers and Thieves, seppure più classiche nella struttura. Un dato però è certo: il passaggio è coraggioso e sembra voler comunicare un'intenzione nuova, anche a costo di non riuscire del tutto convincente. Restano ad esempio per il sottoscritto parecchi dubbi proprio su alcune scelte produttive, un sound molto carico che nei citati episodi e in Waltz in Time accentua le trame hard delle chitarre e della ritmica, forse facendo perdere un po' della forza romantica alle liriche di Abbiati, da sempre diviso fra una rabbia degna di Paul Westerberg e una scrittura rock romantica che guarda ai margini come nella migliore tradizione blue collar. L'idea è allora quella di una band che sta compiendo la sua trasformazione, pur non avendola ancora completata, con la forza però di imprimere su disco esattamente questo passaggio. Bruciare i ponti insomma, mantenendo tuttavia radici salde nel passato: ecco spiegata la presenza di un nocciolo duro al centro di Beyond che riprende la malinconia acustica di un tempo (l'alt-country di Ashes, dolcissima nel suo spleen, e ancora Homeward Bound), così come il folk più struggente (Fragile Man, fra le migliori, dove ricompare il violino di Chiara Giacobbe), prima di ritornare all'esuberanza di Down on New Street e Keep on Flowing, intreccio di riff chitarristici, piano e accordion nella più classica lezione del blue collar rock. |