Evidentemente sotto la corazza di pietra del rock'n'roll covava da tempo un cuore
da sensibile folksinger. Abbiamo conosciuto Enrico Cipollini per la sua
militanza negli Underground Railroad, band ferrarese dedita ad un roccioso ripasso
di sonorità settantesche, evoluzioni hard blues e piglio sudista, dei quali segnalammo
a suo tempo l'interessante Growing
Tree. Nell'educazione sentimentale di Cipollini si celava però
anche l'altra faccia di quelle lontane stagioni, la tradizione folk e blues da
cui tutto è partito, le radici del suono americano che hanno condotto alla strada
maestra. Stubborn Will è il completamento di questa maturazione,
passata attraverso l'ep Songs from the Shelter e ora modellata su tredici brani
dall'impronta acustica, alternando ballate uggiose e temperamento roots con l'apporto
di pochi fidati interventi esterni, tra i quali si distinguono il violino e la
voce (nel duetto di One Way Street) di Chiara Giacobbe.
Una bella
pronuncia inglese, dolce e profonda, tocchi di dobro e slide, il gesto musicale
di Stubborn Will sembra collocarsi tra il deserto di Ry Cooder, la desolazione
springsteeniana di Nebraska e quelle centinaia di songwriter che hanno raccontato
l'altra America, qui evocata costantemente nei suoni e nelle suggestioni, seppure
le storie narrate da Enrico siano personali. La foto si potrebbe presumere sia
uno scatto sulle rive del Po, viste le origini del musicista, ma potrebbe anche
essere il Delta del Mississippi, o meglio ancora uno scorcio del Rio Grande, distanze
e luoghi invocati nello strumentale introduttivo Choirs, e quindi sviluppati
in delicati temi folkie, al passo di un leggero picking acustico in No
Going Back, e malinconiche visioni alternative country (il tramonto
western di Nobody).
Lavorando di sottrazione,
asciugando il sound in un esercizio di arrangiamento coraggioso (quando resta
l'osso della canzone, occorre che l'anima di quest'ultima cammini da sola), Enrico
Cipollini segue un percorso di coerenza stilistica che richiede attenzione anche,
forse soprattutto, per i silenzi e le confessioni: la steel di Evelyne
trasporta nelle distese del Texas, Last Night Train soffia polvere dal
South West americano, Do What You Can si infanga
nelle acque limacciose blues, mentre la pianistica A Dream and a Girl saluta
persino con inediti orizzonti californiani alla Jackson Browne. Lungo il tragitto
molti episodi che hanno il merito di mantenere una languida atmosfera, raccolta
e coesa come si diceva, anche a costo di apparire a tratti un po' ripetitiva.
Abbiamo comunque acquisito una nuova promettente voce, abile sia negli
aspetti strumentali sia in quelli del songwriting, in quel bacino di musicisti
italiani innamorati dell'immaginario a stelle e strisce.