Underground Railroad
Growing Tree
[Underground Railroad 2015]

www.under-rail.com

File Under: 70's rock

di Gianfranco Callieri (14/03/2015)


In genere strapazzato dalla critica, certo rock nato e sviluppatosi a cavallo tra la fine dei '60 e l'inizio dei '70 attorno al formato classico del power-trio, visto un tempo come sinonimo di inguaribile passatismo musicale rivolto soprattutto a un ridotto ma fedelissimo manipolo di nostalgici, torna oggi a essere rivalutato ovunque, persino nelle espressioni più essenziali e monolitiche. I ferraresi Underground Railroad, per esempio, in circolazione dal 2003 e con già due dischi all'attivo, firmano il terzo Growing Three forti di un piccolo status di musicisti di culto, portando avanti con determinazione un discorso dove suoni vintage, contenuti universali e manifesta rivendicazione di un condiviso bagaglio di passioni rappresentano sempre un punto di partenza e mai una forma di limitazione. Il nuovo disco è, ancora una volta, un atto d'amore, un'occasione per rivendicare la personale, magnifica ossessione per il rock-blues a tinte heavy di Taste, Free, Medicine Head e accoliti, spesso contaminato da digressioni alla Led Zeppelin e da un gusto per l'impatto melodico che ricorda un po' l'hard-rock degli Ottanta (e si spinge talvolta fino a citare i primi Black Crowes).

Dalla sei corde secca e cattiva dell'iniziale Not For Sale al tono pastorale della malinconica Broken Angel, la voce di Enrico Cipollini (chitarrista e tastierista della formazione) e la sezione ritmica composta da Andrea Orlando (basso) e Nicola Fantini (batteria) fanno di tutto per tirarci dentro una dimensione spazio-temporale alternativa dove i riff massicci e geometrici di It Takes The Devil, le pennate epiche di una Flow tra i Trapeze e i Quireboys o le crude atmosfere hard-boiled della tesa Sealight costituiscono altrettanti omaggi a un'epoca in cui psichedelia e blues elettrico sembravano essere destinati a percorrere in parallelo i sentieri di un'industria discografica non ancora collassata su se stessa. L'affresco proposto dal gruppo, in pratica una vera e propria radiografia del rock-blues in tutte le sue possibili incarnazioni, è lungo (forse troppo: 16 brani per oltre 70 minuti di musica), ambizioso, senz'altro impegnativo eppure costruito facendo leva di uno slancio talmente genuino da renderne immediatamente apprezzabili anche gli episodi in apparenza riservati solo ai fan di stretta osservanza del genere.

Non è a costoro, tuttavia, che si rivolgono i tamburi disarticolati dell'interessante At The Bottom, la cavalcata countreggiante di Down The Well o il rock'n'roll acido e sudista di Underdog Road, tutti momenti in cui gli Underground Railroad perdono di vista la granitica compattezza delle altre tracce per sperimentare con arrangiamenti e ambiente acustico, scegliendo per una volta di immaginare un mondo possibile anziché limitarsi a evocarne le passate glorie di quello conosciuto (e vissuto). Tuttavia, entrambe le opzioni, sia la scelta di lasciarsi andare (sulle tracce degli Zep del terzo album) sia quella di concentrarsi sul volume di fuoco e l'incedere sferzante delle varie The Ground, Blind Eyes e All Of My Wisdom, producono risultati degni di nota: e se ciò accade, lo si deve alla trasformazione di quanto altrove sarebbe stereotipo dei più triti in squillante indicatore di uno sconfinato rispetto nei confronti della tradizione, eco rabbiosa della memoria. Growing Three ha le carte in regola per piacere anche a chi di rievocazioni proprio non vuol sentire parlare. Chi invece le ama a prescindere troverà negli Underground Railroad un piacevolissimo ricettacolo di sintonie.


 


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