Robert Forster,
Grant & io. Dentro e fuori i Go-Betweens [Jimenez
edizioni, 320 pp.]
a
cura di Marco Denti
Sono stati una ben bizzarra creatura, i Go-Betweens,
frutto, e prigionieri, di una simbiosi tra due songwriter. Una condizione
non insolita (certo, se si pensa soltanto ai Beatles e ai Rolling Stones),
ma quella tra Grant McLennan e Robert Forster era un’alchimia diversa,
un’associazione differente tanto da far dire a Jonathan Lethem in
Rock, Pop, jazz e altro (Guanda) che “i Go-Betweens sono pure intelligenti,
irresoluti e non ovvi”, cogliendo delle caratteristiche che spesso sono
irrilevanti nel determinare il destino di una rock’n’roll band, per
quanto siano utili a mettere insieme una visione degna di nota. Cresciuto
nella campagna del Queensland, Robert Forster aveva assorbito abbastanza
Beatles e Creedence da cominciare a provare gli accordi su una chitarra
priama dell’epifania con Starman e la parallela scoperta di un ragazzo
che veniva sbeffeggiato perché aveva in camera un poster di David Bowie.
Si chiamava Grant McLennan e le affinità elettive furono ben presto
chiare, così come le racconta Robert Forster in Grant & io:
“Entrambi inclini alle scorciatoie, e sostenitori della versione hollywoodiana
dello stardom, rapido e fortunato, ai tempi non pensavamo a noi stessi
come a dei musicisti, semmai come a dei catalizzatori di una vasta gamma
di idee e influenze che si esprimevano al loro meglio in una pop band”.
L’incontro generò qualcosa che prima non esisteva e un alternarsi dei
ruoli che diventerà uno dei leitmotiv all’interno dei Go-Betweens: se
fino a quel momento gli interessi di Gran McLennan erano legati in gran
parte al cinema, con Robert Forster arrivò prepotente la musica e i
modelli divennero “i Velvet, i Doors, i Roxy Music, gruppi esperti in
fatto di avventure artistiche e pop”. Cominciarono così, seguendo i
movimenti sgraziati e i suoni lunari dei Television e dei Talking Heads.
Se potevano farlo loro, era l’ammissione che circolava sottovoce, poteva
farlo chiunque, compresi i Go-Betweens. Le passioni sarebbero rimaste
inalterate e condivise in Australia, con i Saints di Chris Bailey, forse
la rock’n’roll band “down under” più influente, e con la scena scozzese
della Postcard degli Orange Juice di Edwyn Collins (un’amicizia che
resterà nel tempo) e dei Josef K nel corso delle frequentazioni britanniche
che portarono alla Rough Trade e a Before Hollywood, a tutti
gli effetti davvero “un classico” come lo definisce Robert Forster senza
traccia di falsa modestia. Quello che è giusto, è giusto: Before
Hollywood è stato capace di cogliere “quel suono striato di sole”,
felice definizione di Robert Forster per un sound personalissimo. Le
costruzioni chitarristiche dei Go-Betweens e l’idea folkie alla fonte
delle loro canzoni non erano una rarità negli anni di Before Hollywood
e Spring Hill Fair, ma erano lontani anni luce dal mainstream
dominante e hanno sempre scelto “the wrong road”.
Sono stati unici i Go-Betweens e nel loro essere
diversi hanno sollevato il velo di falsità che ammanta lo show business
dove è cercata, inseguita, agognata ogni stravaganza per distinguersi,
ma non si può accettare una rock’n’roll band con due cantanti. Gli schemi
e gli standard sono intoccabili e i gruppi con un solo frontman (tutti)
sarebbero stati la loro nemesi: gli Smiths li avrebbero soppiantati
nelle grazie e nelle priorità della Rough Trade (ed è bene ricordarsi
che “Londra è una città che vive di industria musicale; non puoi allontanartene
per più di una settimana e aspettarti che tutto rimanga identico a prima
che partissi”) e i R.E.M., con cui toccarono con mano la celebrità internazionale
come supporter del tour di Green, gli mostrarono quanto lavoro,
dedizione, fatica e abilità nella delicata arte del compromesso fossero
necessari ad arrivare e restare lassù.
Impararono (a loro spese) a conoscere alcuni
fatidici elementi inamovibili del music business che sopravvivono grazie
ai luoghi comuni, come il famigerato “tour support” che all’epoca funzionava
così: “A meno che non debba suonare davanti a cinquecento persone a
sera, se una band affrontasse un tour in un paese straniero con una
squadra composta da più di una sola persona, l’autista del furgone strafatto
di anfetamine che se è abbastanza matto, e solitamente lo è, accetterà
di occuparsi anche del mixer e del merchandising, di caricare e scaricare
la strumentazione, di fare da tour manager e, ah sì, di darci dentro
con le feste, andrebbe sicuramente in perdita. Si può ovviare a questo
solo se la casa discografica, nella convinzione che per far avanzare
la carriera di una band ci sia bisogno di esporla al più ampio pubblico
possibile, si offre di coprire il disavanzo tra l’ingaggio dei concerti
e l’effettivo costo dei concerti stessi”. È questo il “tour support”
e Robert Forster si premura di precisare: “Sembra una cosa buona,
quasi come avere soldi gratis, quando in realtà si tratta di un anticipo
sulle royalties future. Fino ad allora avevamo pagato tutto con i nostri
soldi”. Sarà così fino alla fine: il gruzzolo come “tour support” venne
trattenuto dalla Beggars Banquet sui proventi di Liberty Belle And
The Black Diamond Express e 16 Lovers Lane fino al 2015.
Ventisei anni senza vedere una sterlina. Funziona così, e non è indolore.
Nel corso dell’esistenza dei Go-Betweens, che si è conclusa con la scomparsa
di Grant McLennan, i ruoli dei due songwriter sono andati sovrapponendosi
e scambiandosi al punto che nei momenti migliori era impossibile distinguerli.
Un collaborazione e un’amicizia duratura e terreno fertile per il songwriting
in comune, ma che non poteva aiutare a superare i limiti imposti dall’industria
discografica. L’urgenza di un hit. La necessità di assecondare i suoni
meccanici e sintetici (e orrendi) che andavano per la maggiore. L’ipocrisia
che colpiva a tradimento e a ripetizione.
Robert Forster ci mise del suo cominciando a salire sul palco con abiti
femminili, senza un particolare motivo, se non il gusto per la sorpresa
che è stato uno dei tratti distintivi dei Go-Betweens. Un gesto del
tutto innocente che provocò non poca irritazione nei dirigenti discografici
americani che avevano (e hanno) tutta un’altra idea di come dovrebbero
lavorare i musicisti: in silenzio, rispettando le regole (scritte e
non) e godendosi (si fa per dire) il “tour support”. Allo scadere del
1989 e insieme di tutto un turbolento decennio i Go-Betweens che, nonostante
l’apparenza casual, si godevano la vita né più né degli altri e ci davano
dentro, come tutte le rock’n’roll band, si ritrovarono al capolinea
e padroni soltanto di una convinzione: “Noi avevamo le canzoni, la nostra
moneta fin dall’inizio e due cantanti-autori avrebbero potuto guidare
ciascuno la propria band: quando il loro songwriting e la loro alchimia
si combinavano, allora si creava una cosa unica e potente. Poteva funzionare.
Ma come presentarla, una cosa del genere? Era forse per questa ragione
che le nostre etichette ci scaricavano?”
Non bastasse quello, i Go-Betweens avevano anche la complicazione (che
per Grant McLennan si rivelerà devastante) di condividere i legami affettivi
all’interno di una rock’n’roll band che non è il luogo più adatto alla
conservazione della specie. Prima Robert Forster con Lindy Morrison
(batteria) e poi soprattutto Grant McLennan con Amanda Brown (violino),
le relazioni seguirono il tortuoso cammino del gruppo, le cui incombenze
e tensioni si rivelarono fatali. Nessuno dei fidanzamenti sopravvisse,
ma se nel caso di Forster/Morrison la rottura fu, per quanto dolorosa,
tutto sommato innocua per il tran tran dei Go-Betweens, per McLennan
e Brown la ferita fu profonda e in gran parte insanabile. In effetti,
la separazione influì non poco sullo stato di Grant McLennan e sugli
anni a venire e scaturì dallo scioglimento dei Go-Betweens, vissuto
da Amanda Brown (e Lindy Morrison) alla stregua di un tradimento.
La ricomposizione necessitò di un lungo percorso
di riavvicinamento tra Robert Forster e Grant McLennan stimolato più
di tutto dal titolo di Les Inrockuptibles: “I Go-Betweens sono il gruppo
più sottovalutato della storia?”. Era il 1996 e ritrovandosi a Parigi
per le dovute celebrazioni provarono di nuovo a tessere quello che avrebbero
chiamato “unfinished business”. Il feeling tra Robert Forster e Gran
McLennan, almeno dal punto di vista artistico e compositivo era rimasto
inalterato, ma le vite, come succede, stavano divergendo. Robert si
era sposato con Karin e viveva tra la Germania e l’Australia, non proprio
una passeggiata. Era tornato a studiare (letteratura) e aveva cominciato
a scrivere articoli e saggi, preludio di una progressione che l’avrebbe
portato a Grant & io. Aveva scoperto anche di avere l’epatite,
risultato della frequentazione con aghi e altri pasticci che lo costrinse
a darsi una sana regolata. Cosa che non fece Grant McLennan che, incastrato
nelle onde di un’infida depressione, si dedicò sempre di più all’alcol.
I rispettivi album solisti, per quanto solidi e dignitosi, non sortirono
risultati degni dei Go-Betweens. Insieme, tornarono alla passione per
il cinema scrivendo una sceneggiatura, riuscirono a collezionare altri
tre dischi (The Friends of Rachel Worth, Bright Yellow Bright
Orange, Oceans Apart, forse il migliore) e a mantenere salda
la loro navigazione, se non fosse che il 6 maggio 2006, il “quiet heart”
di Gran McLennan cessò di pulsare. Con lui se ne andò, inevitabilmente,
il complesso sodalizio con Robert Forster.
Certo, rimarrà per sempre quella che Jonathan Lethem chiamava la “confusione
perdurante e gratificante che suscita essere un ascoltatore devoto delle
loro canzoni” e che è stata la colonna sonora anche del giorno del commiato
a Grant McLennan quando furono le parole di Born To A Family a
salutarlo. E nella fine dei Go-Betweens si condensa l’essenza
della vita di una rock’n’roll band, espressa come meglio non si potrebbe
da Robert Forster con una riga di Grant & io dove dice che è
solo “incertezza quotidiana seduti accanto all’occasione d’oro”. Anche
nei casi più fortunati, non c’è molto di più.