Ryan Adams - 29 Lost Highway 2005  1/2
inserito 05/01/2006
Come ampiamente previsto, giunge a conclusione l'ideale trilogia di Ryan Adams: un leggero sfasamento di pubblicazione nel caso dell'edizione europea (negli States licenziato già da metà dicembre), ad ogni modo 29 è l'atto terzo di un 2005 dal raccolto abbondante. È stato di parola, non badando alle critiche più volte piovutegli adosso per la sua eccessiva prolificità, una dipersione di talento che secondo alcuni non lo avrebbe aiutato nella piena riuscita dei suoi più recenti lavori. Ovvio che, almeno nei casi di Cold Roses e Jacksonville City Nights, vedi anche i nostri Oscar del 2005, non siamo stati dello stesso parere, anche perché l'omogeneità di scrittura e la coerenza di ognuno di questi progetti manda bellamente a quel paese la spocchia di molti detrattori. A ben vedere, da un punto di vista strettamente tematico, anche 29 si presenta quale disco di fine tessitura, perché nell'alone di struggente nostalgia che ricopre le sue liriche, ci mostra forse il Ryan Adams più ispirato in veste di autore. Si tratta nello specifico di un continuo rimuginare sul binomio amore e perdita e sugli anni della sua crescita artistica, intitolato 29 proprio per sancire la chiusura della prima parte della sua vita, all'avverarsi della svolta dei trent'anni. Peccato non si possa riscontrare una medesima coesione proprio da un punto di vista musicale, dettaglio non indifferente, che anzi costringe a considerarlo il disco più "debole" del lotto, guarda caso registrato in assenza dei sempre più indispensabili Cardinals. Ciò non significa evidentemente che Ryan Adams non sia ancora una volta capace di aprire autentici squarci di malinconica bellezza (Blue Sky Blues su tutte), tra magniloquenti e verbose ballate folk come la lunghissima Strawberry Wine (roba degna dei Red House Painters) o le uggiose e pianistiche Starlite Diner e Elizabeth, You Were Born to Play the Part, ma è nell'armonia della parti che qualcosa non gira per il verso giusto. La stessa 29, un bluesaccio elettrico che morde il collo e apre il disco su toni decisamente vivaci, stona al fianco delle ben più miti ballate che la seguiranno. Così Carolina Rain, strepitoso esercizio country rock che avrebbe però fatto miglior figura se collocata nella scaletta di Jacksonville City Nights. Ed è proprio questa sorta di puzzle che permette di accostare Night Birds alle prove di Love is Hell, lo spanish rock epico di The Sadness a Cold Roses oppure la desolata Voices al primo lavoro solista Heartbreaker...singolarmente canzoni ineccepibili, sia chiaro. A 29 non difettano il suono (l'amico Ethan Johns, che produce e si cimenta anche con chitarre, steel, batteria, harpsicord e ukulele), ne tanto meno le liriche, quanto una visione d'insieme più coerente.
(Fabio Cerbone)

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