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inserito
il 03/06/2005
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Sempre uguale a se stesso, sempre rinnovato e fresco nella formula, quando
parli di country music il nome di Dwight Yoakam è d'obbligo,
anche perchè negli ultimi anni non sta sbagliando un solo colpo.
Certamente non fa eccezione l'ultimo arrivato, Blame the Vain,
il quale non solo segna il passaggio ad un'altra etichetta indipendente
(New West), dopo la breve parentesi con la Audium/Koch per Population
Me, ma altresì dimostra la voglia di mettersi in gioco
del cowboy californiano, con la sua prima autoproduzione in carriera.
Abbandonato infatti il fido Pete Anderson e rivoluzionata la congrega
dei suoi musicisti, Yoakam si presenta sotto una luce scintillante, attraverso
un suono corposo, elettrico come mai si era sentito, una verve ritrovata
che ricorda davvero i tempi migliori. D'altronde questo senso di rinascita
viene esplicitamente cantato da Dwight in I Wanna Love Again: semplici
storie d'amore, la disgregaziopne di una coppia e il desiderio di ricominciare.
Ci sono dunque tutti i luoghi comuni e tutte le certezze della migliore
country music in Blame the Vain, partendo da una band stellare, che mostra
i nuovi punti di forza nelle ruggenti chitarre di Keith
Gattis, un partner artistico ideale, nel basso di Taras
Prodaniuk (di recente con Lucinda Williams) nella batteria di Mitch
Marine e nella steel di Skip Edwards. Il resto è tutto
rimesso nel songwriting di Yoakam, in una voce mai così convinta,
che tra le ombre dei suoi maestri riconosciuti, Buck Owens e Merle Haggard,
i ricordi del country rock di Gram Parsons ed una spinta rock'n'roll più
decisa del solito, ha impresso una nuova sterzata alla sua avventura.
Si comincia con le sventagliate epiche della title track, un gioiellino
che profuma di sixties, e si prosegue dentro una perfetta alternanza di
ballate e ceffoni elettrici. Lucky That Way, Does it Show
e Just Passing Time hanno il compito di sciogliere anche i cuori
più duri, con un lavoro insistente su cori, melodie e dolci steel
di sottofondo. Al resto invece ci pensano le chitarre di Gattis: International
Heartache è un incendiario country rock, che corre a perdifiato,
con le percussioni dell'ospite Bobbye Hall a mordere sul collo,
mentre When I First Came Here acquista toni truionfali da ballata
rock. Ciò che rimane potrà sembrare routine, ma è
la dimostrazione che Dwight Yoakam viaggia una spanna sopra tutti i possibili
pretendenti: Three Good Reasons, un honky tonk che mette il buonumore;
I'll Pretend e She'll Remember, la prova della classe che
contraddistingue il personaggio; la citata I Wanna Love Again,
un tributo al suono di Bakersfield; Watch Out, un saliscendi tra
il twangin' incalzante delle chitarre; The Last heart in Line l'immacabile
tuffo romantico, magari eccessivamente zuccheroso, che chiude il sipario
con una sezione d'archi d'altri tempi...possiamo anche perdonare Yoakam
per questa debolezza, Blame the Vain è comunque il segno della
sua splendida forma |