Prima, se lo conoscevate, poteva starvi più o meno simpatico, potevate
trovarlo troppo o troppo poco mainstream, potevate averne ascoltato i
dischi - Birmingham Road, lo sfortunato esordio su Arista Austin
di diversi anni addietro, e il recente Honey
And Salt - con poco o punto interesse, poteva insomma piacervi
oppure no. Dopo, be', dopo se siete appassionati di rock d'autore non
potrete non aver sistemato una foto di Jeff Black nella vostra
personale galleria di immagini votive. Lo spartiacque tra il "prima" e
il "dopo" nella carriera discografica di Jeff Black è costituito da questo
impressionante (nel senso buono, eh…) B-Sides And Confessions Volume
One, un album talmente bello, accattivante, semplice, pulito,
in una parola perfetto, da far pensare che roba simile nel corso di una
stagione ne esca oramai davvero poca, sempre ammesso che esca. L'unico
paragone qualitativo sostenibile lo si potrebbe fare con World
Without Tears di Lucinda Williams, ma laddove la nostra rockeuse
preferita esterna rabbia, sofferenza, sfacciataggine, carnalità e desiderio,
B-Sides offre invece misura, tenerezza e disadorna malinconia. Caratteristiche,
queste, in parte esaltate da una strumentazione improntata alla più sobria
essenzialità e in parte intrinseche alla scrittura dello stesso Black,
che qui, su un totale di dieci episodi, non sbaglia un colpo neanche a
farlo apposta. Restando in tema di strumenti, non è casuale che le coordinate
sonore di B-Sides siano tracciate soprattutto a partire dal pianoforte,
al quale il nostro si cimenta dimostrando classe divina sia in splendida
solitudine (l'iniziale Slip) sia nel più arioso contesto di un
pugno di ottime ballate rock, senza peraltro sfigurare qualora le circostanze
richiedano d'imbracciare un banjo (l'atmosfera rurale di Gold Heart
Locket) o di soffiare nell'armonica con passione d'altri tempi (Higher
Ground). E non è tutto, perché Sunday Best si pappa in quattro
minuti tre dischi interi di Marc Cohn, la sardonica Holy Roller
evoca incontaminati paesaggi sudisti e la sofferta parentesi unplugged
di Bless My Soul non stonerebbe nella produzione di Mark Lanegan,
mentre i drammatici crescendo di Cakewalk o Bastard rammentano
non poco il senso del dramma, le melodie e l'incisività del Bruce Springsteen
di Darkness e dintorni. Se un referente va trovato, però, il nome ineludibile
è quello di Charlie Rich, il vecchio country-crooner di Feel Like Going
Home, Life's Little Ups & Downs, Behind Closed Doors e tante altre, cui
Black va apparentato non solo per una comune collaborazione col grande
Billy Sherrill (un tizio che ha registrato chiunque, compreso l'Elvis
Costello a tinte country di Almost Blue), ma soprattutto per il modo simile
di mescolare passionalità soul e struggimento country. Nel caso di B-Sides,
con l'aggravante di una voce di rara espressività e di un trasporto rock
che è tutta farina del sacco di Jeff Black, dio l'abbia in gloria.
(Gianfranco Callieri)
www.jeffblack.com
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