Jeff Black - B-Sides and Confessions Dualtone 2003

Prima, se lo conoscevate, poteva starvi più o meno simpatico, potevate trovarlo troppo o troppo poco mainstream, potevate averne ascoltato i dischi - Birmingham Road, lo sfortunato esordio su Arista Austin di diversi anni addietro, e il recente Honey And Salt - con poco o punto interesse, poteva insomma piacervi oppure no. Dopo, be', dopo se siete appassionati di rock d'autore non potrete non aver sistemato una foto di Jeff Black nella vostra personale galleria di immagini votive. Lo spartiacque tra il "prima" e il "dopo" nella carriera discografica di Jeff Black è costituito da questo impressionante (nel senso buono, eh…) B-Sides And Confessions Volume One, un album talmente bello, accattivante, semplice, pulito, in una parola perfetto, da far pensare che roba simile nel corso di una stagione ne esca oramai davvero poca, sempre ammesso che esca. L'unico paragone qualitativo sostenibile lo si potrebbe fare con World Without Tears di Lucinda Williams, ma laddove la nostra rockeuse preferita esterna rabbia, sofferenza, sfacciataggine, carnalità e desiderio, B-Sides offre invece misura, tenerezza e disadorna malinconia. Caratteristiche, queste, in parte esaltate da una strumentazione improntata alla più sobria essenzialità e in parte intrinseche alla scrittura dello stesso Black, che qui, su un totale di dieci episodi, non sbaglia un colpo neanche a farlo apposta. Restando in tema di strumenti, non è casuale che le coordinate sonore di B-Sides siano tracciate soprattutto a partire dal pianoforte, al quale il nostro si cimenta dimostrando classe divina sia in splendida solitudine (l'iniziale Slip) sia nel più arioso contesto di un pugno di ottime ballate rock, senza peraltro sfigurare qualora le circostanze richiedano d'imbracciare un banjo (l'atmosfera rurale di Gold Heart Locket) o di soffiare nell'armonica con passione d'altri tempi (Higher Ground). E non è tutto, perché Sunday Best si pappa in quattro minuti tre dischi interi di Marc Cohn, la sardonica Holy Roller evoca incontaminati paesaggi sudisti e la sofferta parentesi unplugged di Bless My Soul non stonerebbe nella produzione di Mark Lanegan, mentre i drammatici crescendo di Cakewalk o Bastard rammentano non poco il senso del dramma, le melodie e l'incisività del Bruce Springsteen di Darkness e dintorni. Se un referente va trovato, però, il nome ineludibile è quello di Charlie Rich, il vecchio country-crooner di Feel Like Going Home, Life's Little Ups & Downs, Behind Closed Doors e tante altre, cui Black va apparentato non solo per una comune collaborazione col grande Billy Sherrill (un tizio che ha registrato chiunque, compreso l'Elvis Costello a tinte country di Almost Blue), ma soprattutto per il modo simile di mescolare passionalità soul e struggimento country. Nel caso di B-Sides, con l'aggravante di una voce di rara espressività e di un trasporto rock che è tutta farina del sacco di Jeff Black, dio l'abbia in gloria.
(Gianfranco Callieri)

www.jeffblack.com