Lucinda Williams - World Without Tears Lost Highway 2003 1/2

Lucinda Williams è una donna molto coraggiosa: non ci sono calcoli nelle sue canzoni, è tutto così vero, spoglio e crudo da fa pensare ad una artista assolutamente pura. World Without Tears nasce sotto il segno di queste considerazioni, tanto è sincera e trasparente la musica che contiene. Non ama mediazioni la nostra Lucinda e sarà per questo che oggi nessuno, ma proprio nessuno, riesce a cantare l'amore come lo fa lei, mettendo a nudo i suoi sentimenti, raccontando storie che hanno in bocca il sapore amaro delle delusioni, dei tradimenti e della sofferenza, ma anche del riscatto. Tematicamente è una sorta di prosecuzione del tormentato Essence, magnifico disco in cui le sue radici sudiste ed il sound tipicamente roots e coriaceo degli esordi si trasfigurava in qualcosa di assolutamente originale, un ciondolante folk-rock dall'aria desolata, che catturava solo sulla lunga distanza. Il nuovo corso riprende esattamente da quelle certezze, anche se prova di nuovo a spingersi in avanti, a cambiare le regole del gioco. E' per questo che la Williams ha coraggio da vendere: questa volta tocca alla produzione di Marc Howard rendere affascinante il percorso, con arragiamenti secchi e dichiaratamente "live", la voce in primo piano ed una band ridotta all'essenza del rock'n'roll (chitarra, basso, batteria e siamo già pronti). Anche per questo World Without Tears non sarà un ascolto facile: nei testi è sempre la stessa Lucinda che abbiamo imparato ad amare, fragile e forte al tempo stesso, ma l'impianto sonoro richiede uno sforzo in più. Il soffio country di Overtime e quello più soul della stessa title-track, ballate come Ventura o Minneapolis fanno tutte parte del suo bagaglio di esperienze passate, ma nei ritmi sghembi di Righteously e American Dream, nel talkin' incalzante di Sweet Side ci sono scelte davvero spiazzanti, che ribadiscono l'ispirazione di questa grande artista. Chi vorrà poi assaggiare le sberle elettriche della band (con una menzione per Doug Pettibone alle chitarre) troverà pane per i propri denti nel bluesaccio torbido di Atonement, in cui la voce si trasforma in un ringhioso lamento, e nel fragoroso rock'n'roll di Real Live Bleeding Fingers and Broken Guitars Strings, monumento agli Stones dei settanta e ai riff di Keith Richards. Il motto recita: "un artista di cui si è perso lo stampo"
(Fabio Cerbone)

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