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biopic rock di
Nicola Gervasini (02/09/2013)
Scusate
se insistiamo con un concetto più volte già espresso su queste pagine, ma anche
nel 2013 gli Okkervil River si confermano come una delle realtà di punta
degli anni 2000. Serviva forse un'ulteriore prova? "Non sono mai abbastanza" diranno
i più scettici, ma anche The Silver Gymnasium, che pur si preannunciava
come la loro prova più ardua, li conferma a livelli d'eccellenza. Se l'accoppiata
The Stage Names/ The Stand Ins aveva ben chiuso un ciclo di crescita impressionante
(con almeno quattro titoli fondamentali dell'indie-rock anni zero), I
Am Very Far nel 2011 aveva dato inizio al difficile peregrinare negli
anni dieci e nel loro insaziabile bisogno di una svolta stilistica che aprisse
nuove strade per tutti. Il disco ha diviso non poco pubblico e critica: non a
tutti è piaciuto quell'abbracciare convinto (anche se alla loro maniera) l'Ottanta-sound-revival
imperante negli ultimi anni, ma alla fine l'album sta reggendo il confronto del
tempo e ha al suo interno alcuni episodi fondamentali del songbook di Will Sheff.
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The Silver Gymnasium va oltre però, perché compie il piccolo miracolo
di non essere un progetto sperimentale che abbraccia un singolo suono, ma elabora
una nuova era dove i vecchi Okkervil River convivono benissimo con quelli nuovi.
Spaventatevi pure per la combinazione puramente mainstream-rock di chitarre e
tastiere di Down Down the Deep River, o per
il techno-synth che apre Stay Young (che però
si trasforma in una tipica ballata alla Will Sheff) e che tiene in piedi tutta
la seguente Walking Without Frankie fino a
quando non si trasforma in un roots-rock vecchia maniera. Oppure rilassatevi nel
ritrovare i cari vecchi Okkervil River nelle ballate stralunate di Pink-Slips
e All The Time Every Day. The Silver Gymnasium rappresenta un nuovo tassello
nel grande racconto personale di Will Sheff, che arricchisce quella immensa seduta
psicoanalitica che è la sua carriera di autore andando stavolta a sondare i suoi
anni pre-adolescenziali, chiaramente evocati e raccontati nel singolo It
Was My Season. Nel testo viene evocata un'estate del 1986 passata nella
sua piccola città (Meriden, poche anime perse nel nulla del New England) tra i
giochi Atari e la voglia di crescere in fretta di un tipico nerd dei tempi (lo
stesso Will si descrive come un ragazzino insignificante con occhiali e asma).
La cosa divertente è che questa giovinezza assolutamente ordinaria nelle
sue mani diventa una grande storia, con tanto di mappa interattiva della cittadina
e foto d'epoca incluse in una app che vi aiuterà a seguire le vicende del piccolo
Will (apps.npr.org/okkervil-river/).
Tanta autoreferenzialità non irriti, Sheff tratta sé stesso come un autore classico,
dove l'elemento autobiografico è mezzo e non fine dell'arte. La produzione di
John Agnello non fa mancare nulla: fiati, orchestre, chitarre e sintetizzatori,
ma in mezzo ci sono un nuovo pugno di canzoni importanti e particolarmente malinconiche
come Where The Spirit Left Us e
Black Nemo e pochissimi momenti di stanca (White passa un po'senza
lasciar traccia). Ancora una volta, applausi.