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"We're Gettin the Band Back Together" di
Nicola Gervasini (29/10/2013)
C'è
stato un tempo in cui David Bromberg, session-man di lusso della sei corde
roots in tutte le sue declinazioni (chitarra, dobro, mandolino, ne sa qualcosa
chi ha comprato l'ultimo volume delle bootleg series di Dylan), diede vita ad
un colorato e divertente carrozzone rock che contribuì a scaldare palchi e gli
stereo degli anni Settanta. In circa dieci anni di attività la David Bromberg
Band produsse una serie di dischi spesso dimenticati nelle classifiche di quelli
fondamentali per l'epoca, vuoi perché vendettero comunque poco (a parte forse
Midnight On The Water del 1975), vuoi perché erano collezioni di canzoni talmente
eterogenee e stilisticamente schizofreniche che non riuscivano ad accontentare
nessuno. Titoli come Wanted Dead Or Alive o il doppio How Late'll Ya
Play 'Til? restano invece obbligati per una qualsiasi collezione rock base,
ma non avevano il rigore di un Ry Cooder, la perfezione dei Little Feat, e soprattutto
Bromberg pensava più spesso a sviluppare spettacolo tramite l'arma dell'ironia,
dimenticandosi magari di concentrarsi sulla scrittura.
Only Slightly
Mad è il primo album della David Bromberg Band dai tempi dell'ignorato
commiato di You Should See the Rest of the Band del 1980, ed è un chiaro tentativo
di recuperare lo spirito del tempo che fu. Bromberg è stato lontano dalle scene
per più di un ventennio, e anche il suo ritorno alla ribalta è stato fatto con
il consueto tono timido e dimesso che lo contraddistingue, prima con una interessante
raccolta di brani acustici (Try Me One More Time del 2007), poi con un interlocutorio
e non del tutto riuscito album full-band (Use
Me del 2011). Ma in questo caso il recupero del carattere giocoso e
a volte caricaturale della sua musica ha finalmente prodotto i risultati giusti.
La partenza di Only Slightly Mad è fulminante: Nobody's
Fault but Mine di Blind Willie Johnson sarà pure un bano stra-sentito
e stra-rifatto da tutti, ma la versione è di quelle da ricordare, Keep
On Drinkin di Big Bill Broonzy viene riarrangiata alla grande con l'aiuto
di John Sebastian, e il classico Driving Wheel di
David Wiffen diventa una maestosa soul-ballad tutto fiati e cori in cui si esalta
il sax di John Firmin.
Dopo gli otto minuti e passa del puro Chicago-blues
di I'll Take You Back (un brano dei Little Charlie & the Nightcats) il
disco si addentra nel più classico menu completo di tutto della band, con l'immancabile
medley tra un suo brano intonato a cappella (The Strongest Man Alive) con
alcuni tradizionali irlandesi. In seguito si ricambia completamente versante geografico,
tornando nell'America del country con la ballatona tutta steel guitar (la suona
il fidato chitarrista di Dylan Larry Campbell, anche produttore dell'album)
Last date (un successo per Conway Twitty),
e via con i soliti numeri blues (Nobody Knows the Way I Feel This Mornin),
bluegrass (un altro medley di tradizionali e un brano di Bill Monroe) e country
(The Fields Have Turned Brown). Chiudono gli
unici tre brani interamente firmati da Bromberg, che sorprende con la bella ballata
west-coast di I'll Rise Again, il soul di
World of Fools e la country-ballad You've
Got to Mean It Too. Tutto fatto benissimo, tutto già sentito, e soprattutto
la solita volontà di fare tutto di tutto: i dischi di Bromberg sono così, offrono
innanzitutto varietà, quasi avesse paura di sembrare monotono concentrandosi solo
su uno stile. Un po' come quando al ristorante vi portano un tris di primi piatti
e due secondi di pesce e carne: difficile che vi piaccia sempre tutto allo stesso
modo, ma sicuramente ne uscirete sazi e soddisfatti.