Ormai certi prodotti potremmo anche evitare di giudicarli, analizzarli, e
scavare laddove non c'è proprio null'altro da scoprire se non ciò che appare evidente
fin dalla copertina. Prendete una vecchia gloria della roots-music come David
Bromberg, uno che da qualche tempo ha deciso di rimettersi in pista e prendersi
gli onori ingiustamente negati in anni in cui ha dovuto fare il liutaio per sopravvivere,
e prendete una serie di vecchi amici pronti ad offrirgli la loro devozione. Prendete
una serie di cover o di nuovi brani prestati per l'occasione dai volenterosi compari,
una produzione che si limita a far sentire ciò che il pubblico si aspetta da lui
senza far scoprire nulla di nuovo, e il disco è fatto. Che Use Me
sarebbe stato un album piacevole senza essere importante lo si sapeva già anche
prima di ascoltarlo, che Bromberg sia una garanzia e non avrebbe mai accettato
di pubblicare musica sciatta era scontato, così come anche il fatto che il frizzante
e fantasioso mix di generi dei suoi golden years sarebbe stato un ricordo lontano
era una giocata sicura che qualsiasi bookmaker avrebbe pagato pochissimo.
Per
cui pare davvero inevitabile che per parlarne si debba scivolare nel mero elenco
dei presenti, e allora forza, non sottraiamoci al nostro dovere: c'è un Levon
Helm che ripassa due volte per ribadire classe e anzianità di servizio, un
prevedibilissimo John Hiatt che offre l'inedito Ride
Out A Ways, i Los Lobos che imitano loro stessi nel valzer-mex
di The Long Goodbye, c'è una Linda Ronstadt
che addolcisce It's Just A Matter Of Time di
Brook Benton, un Vince Gill che "nashvillizza" la sua Lookout
Mountain Girl (ne è co-autore Guy Clark), un Keb Mo' che infanga di
blues Diggin In The Deep Blue Sea, o un Tim
O'Brien che riporta il nostro sulle consone strade del bluegrass di Blues
Is Falling. Insomma non manca nulla, e allora continuiamo a fare il
nostro dovere segnalando le nostre prime scelte (che magari non saranno le vostre),
una You Don't Wanna Make Me Mad di e con Dr.
John che tira il giusto, e una scoppiettante, funkeggiante, "littlefeattiana",
percussiva ed isterica Old Neighborhood, in
cui il maestro impartisce pure lezioni di chitarra elettrica ai redivivi Widespread
Panic. Chiude una Use Me di Bill Whiters fatta
con i Butcher Brothers, che serve a dare il titolo al disco e a ricordarci di
quanto possa essere eclettico il buon Bromberg.
Non avendo null'altro
da chiosare, chiudiamo consigliando il disco a chi già l'avrebbe comprato, e confermando
agli altri che se il personaggio non è tra i vostri preferiti, con questo album
continuerà a star fuori dal club dei vostri VIP. Una preghiera però ci viene:
se proprio si vuole fare un tributo a Bromberg, dategli i soldi per rimettere
in piedi una band spettacolare come quella che abbiamo sentito nei suoi gloriosi
anni 70, magari continuerà a non sorprenderci più, ma a vederlo libero di esprimersi
per i fatti suoi ci si divertirà infinitamente di più. (Nicola Gervasini)