Non tutti
avrebbero scommesso sulla seconda vita dei Dream Syndicate, anche
se avere al centro la stabilità del songwriting di Steve Wynn garantiva
un filo conduttore con il loro passato. Sta di fatto che la band californiana
ha pareggiato i conti con la più celebrata e influente parte della loro
carriera: quattro gli album di studio prima del loro scioglimento a fine
anni Ottanta, quattro quelli nati dalla improvvisa riunione nel 2017.
È un naturale cerchio che sembra chiudersi e completarsi, a maggior ragione
se si ascolta il cuore musicale di Ultraviolet Battle Hymns and
True Confessions, titolo arzigogolato e psichedelico per vocazione
che nasconde in realtà una raccolta di canzoni immediatamente più contenute,
riconoscibili e "di mestiere" rispetto all’opera precedente.
Infatti, tanto era sembrata coraggiosa, spiazzante, onirica la proposta
di The
Universe Inside, scia di improvvisazioni tra kraut rock, elettronica,
ritmi funk e fughe free d’avanguardia, quanto appare composto, maturo
e allineato alla loro vicenda pregressa questo album. Un ritorno a casa
che fa il paio con l’inaugurale secondo viaggio di How
Did I Find Myself Here?, pur non avendone la stessa freschezza
e quel naturale desiderio di rimettersi in gioco. È un disco affabulatore
e confortevole per chi ha amato la neo-psichedelia e i giorni di gloria
del Paisley Underground del gruppo, quando guidava una rivoluzione silenziosa
che avrebbe influenzato il rock “alternativo” degli anni a venire: qui
troverete in The Chronicles of You e Lessson Numer One certi
“luoghi oscuri” e quelle ballate dalle tinte rock noir che conquistavano
il centro della scena da Medicine Show in avanti, stessa scuola
alla quale ci sembrano attingere il riff roccioso di
Trying to Get Over (magari finendo dalle parti di Out of
the Grey...) e la sfuriata garage, figlia del cavallo di battaglia
John Coltrane Stereo Blues, della conclusiva Straight
Lines.
In quest’ultima emerge forte e chiaro il contributo del vecchio pard Chris
Cacavas, ora in pianta stabile nella formazione insieme a Dennis Duck
(basso), Mark Walton (batteria) e Jason Victor (chitarre), che lascia
fluire rintocchi di organo e tastiere sporcando come al solito le canzoni
di Wynn con volute lisergiche, richiami alla New York dei Velvet e persino
vaghi sentori glam. I frutti più succosi li ottengono con il suono spaziale
della traccia d’apertura, Where I’ll Stand,
esperienza in parte replicata con meno convinzione in Every Time You
Come Around, e meglio ancora quando la band decide di contorcersi
su toni bluastri, terreno che rimanda esplicitamente alle opere soliste
dello stesso Steve Wynn, per esempio nel pulsare dark di
Beyond Control e nelle trame notturne, con tanto di eco
distante del sax, di My Lazy Mind,
a cui andrebbe aggiunto il garage soul di Damian, l’episodio più
ammiccante dell'intera raccolta.
È chiara l’intenzione di atterrare sulla terra dopo il volo verso l’ignoto
del citato The Universe Inside: il respiro dei Dream Syndicate
in Ultraviolet Battle Hymns and True Confessions si è fatto più
regolare e apparirà senz’altro meno convulso e avventuroso, ma l’esperienza
gioca tutta a favore di Steve Wynn e soci.