La musica di Luca Rovini - cantautore pisano attivo da una decina d'anni
su quella che potremmo definire la scena indipendente d'ispirazione roots - possiede
un carattere aspro e sincero, qualcosa che riflette forse la storia stessa dell'autore,
da sempre appassionato di America, di strade e storie ai margini, di sfide degne
di un outsider. Il suo immaginario è anche il nostro, coincide in più punti e
ci facilita il compito nell'entrare in contatto con un disco come Cuori
fuorilegge, che già nel titolo sintetizza questo percorso artistico. Ne
avevamo seguito i passi con Avanzi
e Guai e sottolineato la maturazione, pur con tutti i limiti di
una autoproduzione e di un carattere ancora naif nell'approccio vocale, nel discreto
lavoro acustico che usciva allo scoperto in Figure
senza età.
Oggi è arrivato il momento di una decisa sterzata
elettrica, di un suono che si è fatto più marcato e stradaiolo nelle intenzioni,
lasciando emergere quelle passioni per il country rock più sanguigno, per il rock'n'roll
che sa di polvere e viaggi senza meta, tra un Texas vagheggiato e una più concreta
Toscana. È l'album più interessante e adulto che Rovini abbia sino ad oggi realizzato,
un passo avanti deciso e coerente, che si avvale di una band dal suono "di genere"
impeccabile, con il dato non trascurabile delle presenze di Peter Bonta e
Gary A. Crockett, due musicisti americani che possono offrire quelle sensibilità
e quegli arrangiamenti che appartengono soltanto a chi questa musica l'ha masticata
ogni santo giorno. Il primo, chitarrista dal tocco ficcante tra scuola country
e rock blues, ma anche pianista, entra nel ruolo di produttore e marchia ciascun
brano con i suoi interventi; il secondo, batterista di lungo corso e dalle collaborazioni
importanti, sostituisce l'amico scomparso Stefano Costagli, parte integrante dei
Companeros al quale Luca Rovini dedica l'intero disco.
Con il basso di
Andrea Pavani e gli interventi degli ospiti Chiara Giacobbe (violino), Paolo Ercoli
(pedal steel) e Flaco Siegals (accordion), Cuori Fuorilegge completa i colori
di un quadro dove una canzone tutta italiana, nell'emotività dei testi un po'
impressionisti, si associa a un sound robusto che echeggia mille dischi sbucati
dalla provincia americana. Ci sono le note di Senza gambe
né parole, tipica ballata da grandi spazi, e il riff affilato e bluesy
di Fuorilegge a concretizzare la descrizione
di cui sopra, e c'è una voce, quella di Rovini, che con tutti i limiti del caso,
questa volta appare più convinta e perfettamente calata fra le immagini che evoca.
Se il suono che gli gira in testa è tutto figlio di Joe Ely, di Tom Petty, del
primo Steve Earle, di Dave Alvin di chissà quanti altri eroi dell'american music,
il piglio da resistente e cane sciolto che emerge nelle liriche appartiene soltanto
a lui, con uno stile abbastanza originale, che lavora per accostamenti e ispirazioni
e non sceglie quel tratto più narrativo tipico delle sue fonti di ispirazione.
Questo rende più autentica la proposta di Cuori fuorilegge, nonostante
i suoi chiari debiti verso i songwriter di cui sopra: ciò emerge nelle ballate
intime e dai toni rootsy come Al tavolo di un altro, Parole
in regalo, Tutti i tuoi giorni, che giocano con sentimenti sempre
schietti e si avvicendano con il prevalente tono elettrico rockato del disco.
Qui emerge efficace il lavoro della band, che svisa veloce fra titoli manisfesto
come Vite di contrabbando e Non
mi avranno mai, nella traduzione di Sei giorni sulla via (dal
classico Six Days on the Road, innumerevoli versioni, compresa quella dei Mudcrutch
di Tom Petty), nel passo blues da bar band texana di Non con me e in quello
decisamente imbevuto di country da border town della divertente Honky
Tonk Senorita, con la steel di Ercoli a caratterizzare gli accenti
del brano.
Luca Rovini mantiene una spontaneità che lo mette al riparo
da facili accuse di plagio: la sua penna resta spesso tagliente (il finale con
Nuda sull'Aurelia), e ancora una volta questa naturalezza di gesti e musica
lo rende a suo modo singolare nella proposta.