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02/07/2007
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John
Doe 1/2 Il problema della carriera
solista di John Doe è sempre stato quello di non avere un fine
ben chiaro. L'ex cantante degli X, non sempre per sua volontà sia chiaro,
ha pubblicato in questi ultimi vent'anni in maniera disordinata e scriteriata.
Progetti abbandonati e poi ripresi a distanza di dieci anni (For
The Best Of Us), dischi acustici senza molta sostanza (Dim
Star, Bright Sky), molte cose anche discrete, ma niente che
possa minimamente rivaleggiare con quanto fatto con il suo gruppo negli
anni d'oro. La questione di fondo è che la musica di Doe è sempre rimasta
anonima e senza definizione come il suo nome (traducibile come il nostrano
"Pinco Pallino"), indeciso se fare il cantautore folk e seguire le orme
texane dell'amico Dave Alvin, oppure cavalcare le scariche elettriche
del punk californiano alla X. A Year In The Wilderness arriva
a dare un seguito all'album Forever
Hasn't Happened Yet del 2005, album apprezzabile, ma con le
solite idee confuse ad impedirne il decollo, e se ancora forse non ci
siamo nella definizione di un suo suono, almeno comincia a far intravedere
un autore e un performer in stato di grazia. Album relativamente breve,
calibrato su brani rilassati e alcune convinte sferragliate elettriche,
il cd si avvale di alcune collaborazioni di rilievo, tra cui il duetto
con la bella Kathleen Edwards in The Golden State, così
come l'"amarcord" con la vecchia compagna d'avventura Exene Cervenka
nella delicata Darling Underdog o le backing vocals di Aimee
Mann nella country ballad A Little More Time. Nelle vene di
questa musica, oltre al bravissimo slide-guitarist Greg Leisz,
bazzicano le chitarre di Dave Alvin, Chris Bruce (spesso
alle spalle dell'ex Ministry Chris Connelly) e Dan Auerbach dei
Black Keys, particolarmente evidenti nei brani più duri come l'iniziale
Hotel Ghost (un brano davvero notevole anche dal punto di vista
della scrittura) e nel devastante hard-blues di There's a Hole.
Tutti brani incisivi, brevi e diretti, subito digeribili, che fanno di
A Year In the Wilderness il suo album più compiuto dai tempi di Meet John
Doe. Non perfetto purtroppo, perché comunque quando tenta di ricreare
il sound degli X in Lean Out Yr Window, quando non azzecca la melodia
come in Unforgiven o quando tenta strade autoriali che non gli
sono congeniali (The Bridge), il ritmo arranca un po'. Ma c'è tempo
anche per notare la bella doppietta finale con The Meanest Man In The
World, un brano che potrebbe saltar fuori dal repertorio di Kris Kristofferson,
e la notevole Grain Of Salt, unico minutaggio che supera i quattro
minuti anche grazie a un bel finale in crescendo con le chitarre in evidenza.
Non abbiamo ancora capito cosa voglia fare John Doe da grande, per adesso
possiamo al massimo goderci una sana e creativa scelleratezza di un adolescente
di cinquantatre anni. |