:: Silvan Zingg, intervista
Il Boogie Woogie secondo Silvan Zingg

Silvan Zingg, l'ambasciatore svizzero del boogie woogie, l'ho incontrato per la prima volta nel 2001 in occasione di un suo tour in compagnia del bluesman americano Danny "Mudcat" Dudeck. All'epoca era una sorta di ragazzo prodigio del pianoforte pieno di un'allegria particolarmente contagiosa, ma da allora è passato qualche anno… be', nel frattempo ha sfornato una lunga serie di cd, è diventato uno dei più stimati pianisti in Europa, se n'è andato in giro per i festival di mezzo mondo, incontrato personaggi come Ray Charles e Champion Jack Dupree nonché creato una rassegna tutta sua, grazie alla quale annualmente si rinnova l'appuntamento luganese con i più importanti artisti della scena boogie woogie. Non male, insomma. E visto che la data d'inizio dell'8° edizione del suo International Boogie Woogie Festival si avvicina, ho pensato bene di passare a trovarlo per una chiacchierata.

(a cura di Massimo Baraldi)

www.silvanzingg.info


L'intervista

MB: Silvan, nel 1990 non eri ancora maggiorenne e hai partecipato al Blues To Bop, una delle più importanti rassegne musicali ticinesi… nel 2002 ne hai creata una tua, l'International Boogie Woogie Festival, ormai all'8° edizione. Un risultato brillante, direi!

SZ: Ai tempi ero uno studente, e nelle pause tra una lezione e l'altra di solito suonavo il piano nell'aula di musica… così quando Norman Hewitt, che oltre a essere l'organizzatore del Blues to Bop era anche il mio insegnante d'inglese, entrò in classe dicendo che gli era saltato il concerto di un famoso pianista americano, i miei compagni esclamarono "Ma professore! Abbiamo qui Silvan!". Be', li ha presi in parola, perché a 17 anni mi sono ritrovato sul palco di Piazza della Riforma! È stato bello, Norman mi ha regalato una grande opportunità. Dopo di allora ho girato tanti paesi, insieme alla mia musica. L'idea di organizzare un festival di boogie woogie è nata perché in Europa esistono iniziative analoghe alle quali ero stato invitato, e desideravo ricambiare la cortesia nello stesso modo. Mi sono messo d'impegno e in 4 mesi ho tirato in piedi la prima edizione a Manno, il mio paese. Sono bastati 3 anni perché la sala comunale divenisse troppo piccola per ospitarci e quando i responsabili intervennero per tirar giù a forza la gente persino dai lampadari (ride), capii che, benché ciò implicasse spese e sforzi maggiori, era venuto il momento di traslocare. Scelsi il Palazzo dei Congressi di Lugano, che ha un grande palco e si presta alla perfezione. In più, desiderando offrire una possibilità ai giovani pianisti, nel 2006 ho abbinato un concorso rivolto a loro… sono arrivati dall'Ungheria, dall'Olanda e da un sacco di altre nazioni! L'8° edizione è in cartellone dal 16 al 19 aprile perché abbiamo una buona affluenza dal Nord e le vacanze pasquali possono agevolare i trasferimenti. Vengono spesso persone appassionate del genere anche dall'Italia. Avrò un bel programma: l'inglese Mike Sanchez, gli americani Gene Taylor e Caroline Dahl e tanti altri ancora. E poi a grande richiesta saranno di ritorno le due coppie di ballerini francesi, William & Maéva e Nicolas & Melanie, che quest'anno hanno conquistato il titolo mondiale ed europeo.

MB: Nel 1992, la prima volta che salisti sul palco del "Masters of Boogie and Blues Piano Night" del Festival di Charleston eri ancora un ragazzino, nonché l'unico europeo… ci sarà voluto coraggio, no?

SZ: Quella sì che fu un'esperienza impagabile! Un diciottenne svizzero in un festival della Carolina del Sud, con Jimmy Walker e tutti i bluesmen veri… ero emozionato e timidissimo! Fu Garry Erwin, l'organizzatore, a invitarmi. E Norman Hewitt a scortarmi. Se solo potessi tornare indietro, mi ci fermerei almeno qualche mese. Allora c'erano gli esami ad attendermi in patria, per quei cinque giorni fui obbligato addirittura a spostarne uno… ma ora che sono diventato un musicista, cosa me ne faccio della maturità? Avrei fatto meglio a restare (ride)!

MB: "Boogie Woogie Triology" è il tuo ultimo album, inciso in compagnia di Valerio Felice alla batteria e Nuno Alexandre al contrabbasso. Ne sei soddisfatto?

SZ: L'ho inciso col mio trio, fondato nel 2001. Valerio viene da Bellinzona, suonavamo insieme già da ragazzini, nella banda… io al trombone e lui al tamburino. Pensa che ai tempi arrivammo persino dal Papa, in Vaticano… e col mio trombone feci un assolo di boogie in San Pietro (ride)! Nuno Alexandre è il contrabbassista, un vero campione dello "slap bass", lo stile alla Willie Dixon, per intenderci. È il tipo che si veste solo in stile anni '40 e '50, ha una collezione di circa 300 cravatte - larghe e corte come si portavano allora - ed entrare in casa sua è come essere catapultati in un film d'epoca! Un personaggio davvero divertente, insomma. Quanto al cd, sì, ne sono molto soddisfatto. Contiene per la metà brani classici - come "Honky Tonk Train Blues" o "St. Louis Blues" - e per l'altra metà composizione originali. Al di là dei virtuosismi e della velocità, per noi ciò che più conta è il ritmo, il groove… se lo segui ti porta in trance! Un po' come succede con il blues, insomma. Molta gente questo non lo capisce, ma è solo questione di feeling: o ce l'hai o non ce l'hai.

MB: In Italia, alla fine degli anni '70, il boogie woogie ha conosciuto una seconda giovinezza grazie a Keith Emerson e la sua cover di "Honky Tonk Train Blues" di Meade "Lux" Lewis, scelta come sigla della trasmissione di Renzo Arbore "Odeon". Che fine ha fatto, dopo?

SZ: Non ho mai visto la trasmissione, ma so che quella cover ha influenzato tutti i pianisti venuti dopo: nel nuovo spartito la mano sinistra suona in modo semplificato rispetto al passato… a quello si sono tenuti e l'originale se lo sono dimenticati! Quanto agli ascoltatori, forse dopo il brano di "Lux" non hanno più avuto occasione di sentire nulla se non qualche imitatore di Jerry Lee Lewis, ed è un peccato. Tutto cominciò col blues dei neri, poi sul pianoforte prese velocità e si è trasformò in boogie woogie… sino al giorno in cui i bianchi, prendendo spunto da brani come "Roll'em Pete" e "The Rocks", ne cambiarono il nome in rock 'n' roll. Del boogie woogie si sono un po' perse le tracce, insomma. Purtroppo i giovani o vengono instradati dai genitori oppure finiscono con l'ascoltare ciò che ascoltano i loro coetanei. Lo stesso accadeva ai miei tempi, quando erano in voga Europe e Duran Duran… io ero l'unico a essere fissato col blues e il boogie. Ho influenzato la mia piccola cerchia di amici, forse… ma nulla di più, gli altri si sono tenuti stretta l'hit parade. Certo, oggi le cose sono diverse, oltre alle classifiche abbiamo youTube e la possibilità di accedere a qualunque tipo di contenuto. E tra le nuove proposte ci sono anche cose in cui si mette da parte l'elettronica e si riscopre il piacere di utilizzare veri strumenti musicali, pensa ad Amy MacDonald o le Puppini Sisters. Queste ultime le avrei volute al festival, ma chiedevano davvero troppo. C'è un filmato su youTube, Dancin' the boogie, in cui io suono e William & Maéva ballano… be', in poco tempo abbiamo passato il milione di visualizzazioni! Significa che anche il boogie woogie ha un suo seguito, no?

MB: In Svizzera sei conosciuto come l'Ambasciatore del boogie woogie… e questo forse spiega perché tu sia stato invitato a Detroit, nel 2005, per le celebrazioni del centenario di Meade "Lux" Lewis

SZ: Fu un giornalista a scriverlo… e penso stia bene così, perché comunque, attraverso il festival e i miei concerti, ho contribuito ad alimentare l'interesse verso questo genere nel mio paese e non solo. Fu un grande onore essere invitato a quell'evento, che fu anche registrato dal rinomato canale televisivo americano PBS.

MB: Le frontiere della musica roots si stanno spostando, sempre più spesso i musicisti guardano con interesse a paesi come Bulgaria o Romania… tu hai fatto un passo più lungo e l'anno scorso hai affrontato un tour di tre settimane in Cina. Com'è andata?

SZ: La Cina, per ragioni culturali, è certamente un paese particolare ma, innegabilmente, la voglia di crescere fa sì che lì, come nell'Est europeo, ci siano apertura e curiosità verso qualunque novità. Noi andiamo là a farci fare i vestiti perché costa poco, loro sono disposti a spendere un sacco di soldi pur di comprare prodotti occidentali (ride). Ho suonato in sale da concerto vere e proprie, da sempre riservate alla musica classica e per la prima volta aperte al jazz e al boogie! Tra il pubblico ho notato tanti genitori coi bambini, forse perché potendone avere solo uno cercano di dar loro tutta la cultura possibile.

MB: Nel 2005 hai affrontato una prova molto impegnativa: il concerto con Chuck Berry a Zurigo! Il suo pessimo carattere è proverbiale, che ricordo hai di lui?

SZ: Era un lunedì e, nonostante per noi musicisti quello sia un giorno di assoluto riposo, avevo un ingaggio in un club della Svizzera interna. Sono uno che tiene sempre fede agli impegni, ma quando il manager di Chuck Berry chiamò per chiedermi se volevo accompagnarlo… non ebbi il coraggio di rifiutare! Con l'agenzia inventai una scusa e il perché non saprei spiegarlo… se anche fossi stato sincero avrebbero capito. Comunque sia, mandai un sostituto e il giorno dopo il concerto ricevetti la telefonata di complimenti dell'agente… erano tutti in seconda fila, lui e il resto dell'ufficio (ride)! Chuck Berry, si sa, prende gli strumentisti direttamente sul posto... niente prove, e se poi non gli vanno a genio li scaccia dal palco! Cosa che successe giusto il giorno prima, in Germania, a un pianista che conosco personalmente. Uno bravo, ma che per qualche motivo non gli piacque… al secondo pezzo lo rispedì a casa. Ero insolitamente rilassato quella sera, sapevo tutti i brani a memoria e non perdevo mai d'occhio il bassista, era lui a segnalare gli accordi… che Berry cambia continuamente. "You Never Can Tell" l'ha fatta in Do Diesis e non in Do, per esempio. Lo seguivo limitandomi a tenergli una base, badando a non sovrastarlo mai… e quando a metà concerto si rivolse al pubblico dicendo: "Questo ragazzo bianco potrebbe venire da St. Louis, è il mio fratello di blues!", tra di me pensai: "Per me va bene così, adesso posso anche morire!". La mattina seguente lo raggiunsi in albergo per un saluto e lo trovai lì, già pronto a salire sulla Limousine Mercedes e partire. Pretese la più cara e di lasciarla guidare all'autista non ne volle sapere... ingranò la prima e schizzò via così velocemente che le auto in arrivo lo evitarono per un pelo! Chuck Berry è un personaggio davvero speciale.

Manno, 20 marzo 2009
©Massimo Baraldi
www.massimobaraldi.it




<Credits>