1983 |
Rain
Parade | Emergency
Third Rail PowerTrip [Enigma] | |
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Se c'è un disco che fu tra i primi a "mostrare la via" a tutto
il movimento del Paisley Underground questo fu proprio Emergency Third
Rail Power Trip dei Rain Parade. Il singolo What
She Done To Your Mind devastò le radio universitarie americane come
solo Radio Free Europe dei R.E.M. riuscì a fare in quel lontano 1983, con il suo
mix di chitarre in stile Byrds unito ad un gusto psycho-pop che guardacaso non
era poi tanto lontano da quello che proponevano i ragazzi di Athens con il loro
Murmur. Meno ruvidi e forse meno attenti al songwriting dei Dream Syndicate, i
Rain Parade erano molto più interessati all'ipnotico impatto sonoro, lo stesso
stile onirico che il leader Dave Roback porterà in eredità e svilupperà
più estremamente negli Opal e nei Mazzy Star. (NG) |
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1983 |
John
Cafferty & The Beaver Brown Band | Eddie
& The Cruisers - OST [Scotti Bros.] | |
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Strano caso, quello di John Cafferty da Rhode Island,
passato in un batter d'occhio dal circuito dei nightclubs ai 3 milioni di copie
vendute del soundtrack di una modestissima pellicola scritta e diretta nel 1983
da Martin Davidson, La banda di Eddie. Il film è sbagliato ma sincero nell'esprimere
l'amore del regista per le leggende del rockbiz, mentre Eddie & The Cruisers
- la colonna sonora - presenta un epigono springsteeniano più realista del re,
intento a rockeggiare con grinta operaia e sax in libertà, tonnellate di soul
e spiccioli di dimessa poesia metropolitana. Tra il blue-collar sudato e imbrillantinato
di On The Dark Side, Tender
Years e Wild Summer Nights spuntano
anche una sentita rilettura del Dion DiMucci di Runaround Sue e la voce di Ben
E. King dei Drifters (nientemeno!) a passare il testimone nella splendida Boardwalk
Angel. (GC) |
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1983 |
Robert
Cray Band | Bad
Influence [Hightone] | |
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Se negli anni '70 il blues fu identificato quasi tout court con
il sound di Chicago, nel decennio successivo riemerse un suono più luccicante,
imbastardito con rhythm & blues e soul, figlio più di B.B. King che di Muddy Waters.
Quella di Robert Cray, qui al primo disco importante dopo anni di gavetta
e un esordio passato inosservato, è una declinazione del blues che segue questo
trend, tentando di conciliare le 12 battute con la sezione di fiati dei Memphis
Horns, il chitarrismo scintillante di Albert Collins (ma risciacquato nelle acque
calme di "manolenta" Clapton) con il vibrato di Otis Redding, le ritmiche funky
con i ricami d'organo alla Booker T. Jones. Più "blue" di così questo decennio
non riuscirà ad essere, almeno non a questi livelli di popolarità (il singolo
Phone Booth gli aprirà anche la porta delle
charts). (YS) Take
#2, prova anche: Strong Persuader (Mercury
1986) |
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1983 |
Stevie
Ray Vaughan | Texas
Flood [Epic] | |
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Arrivò come un fulmine a ciel sereno, il debutto di questo giovane
chitarrista texano. L'allora ventinovenne Stevie Ray stese tutti quanti
con una devastante miscela che metteva in un unico calderone Jimi Hendrix, il
Southern Rock, il blues del Delta, palate di soul ed un fraseggio secco ed essenziale
che sembrava uno schiaffo in faccia a tutti quegli pseudo guitar heroes che facevano
della magniloquenza il proprio marchio di fabbrica. Potete definirlo come volete,
blues, rock o quello che vi pare, resta il fatto che poche volte un musicista
è riuscito come in quest'album a realizzare una sintesi così perfetta tra tecnica
e livello delle canzoni, le quali sono il vero punto di forza di Texas Flood.
(GG) Take #2,
prova anche: Couldn't Stand the Weather
(Epic 1984) |
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1984 |
Dream
Syndicate | Medicine
Show [A&M] | |
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L'ondata di band californiane che finirono sotto l'etichetta
del Paisley Underground (dal nome di un tipico modo di vestire dell'era hippie)
trovò nei Dream Syndicate la massima realizzazione di quello che era il
nuovo credo musicale. Le chitarre sporche alla Lou Reed, gli assoli acidi imparati
sulle partiture di John Cipollina dei Quicksilver Messenger Service, la rabbia
del punk dilatata con l'abbandono dell'era delle two-minute-songs per il ritorno
ai lunghi minutaggi di John Coltrane Stereo Blues, i tempi isterici e nervosi
di una sezione ritmica che respirava la New Wave dei Television e dei Talking
Heads. Il primo album della band fu il manifesto di tutto questo, ma con Medicine
Show, il secondo disco, la teoria si fece capolavoro grazie alla scoperta
di un autore, Steve Wynn, che resta ancora oggi una delle migliori eredità
degli anni 80. (NG) Take
#2, prova anche: Ghost Stories (A&M
1988) | -.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
1984 |
Los
Lobos | How
Will The Wolf Survive [Slash] | |
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The Wolf Survive? By The Light Of The Moon. Domanda e risposta
non andrebbero separate visto che i Los Lobos nascono proprio a cavallo
di questi due dischi. Sì, c’erano i trascorsi nel barrio, ma quello che colpì
era l’intreccio spudorato tra i traditional dentro e oltre il border e certe sferzate
rock’n’roll che all’epoca appartenevano soltanto agli amici Blasters e X, con
cui condivisero gran parte degli esordi. Parte Don’t
Worry Baby, una delle canzoni che rianimarono il rock’n’roll in quegli
anni, e non ci si ferma più. Produsse T-Bone Burnett (uno dei pochi a rimanere
coerenti e corretti nella confusione generale) e By The Light Of The Moon non
fece altro che raddoppiare la dose. Il lupo sopravvive alla luce della luna, i
Los Lobos sono rimasti, geniali, intatti e grandiosi, per trent’anni. I Sigue
Sigue Sputnik (giusto per fare un nome) invece sulla luna ce li hanno mandati,
e non li abbiamo più visti (per fortuna) (MD) Take
#2, prova anche: By the Light of the Moon
(Slash 1987) | -.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-.-
1984 |
Meat
Puppets | Meat
Puppets II [SST] | |
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Ci sarebbero voluti i Nirvana di Kurt Cobain, dieci anni dopo,
per consacrare il lascito dei Meat Puppets. Eppure era già tutto racchiuso
qui dentro: Meat Puppets II baratta la stonata confusione dell'esordio
per addentrarsi con scrupolo nel cuore della tradizione. Ovviamente alla maniera
dei fratelli Kirkwood (Curt e Chris, anima della band): la country music viene
stritolata nella morsa di un hardcore punk al fulmicotone, le chitarre intrecciano
riff che non si sentivano dai tempi dei Televison di Marquee Moon (Aurora
Borealis), mentre il canto si fa alternativamente isterico e malinconico.
Lost e Climbing
aggiornano l'honky tonk con un piglio allucinato, The
Whistling Song e Oh Me sono ubriacature
degne del Neil Young di Tonight's The Night, mentre Lake
of Fire rimane un urlo straziante. (FC) Take
#2, prova anche: Huevos (SST
1987) |
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1984 |
Robert
Earl Keen | No
Kinda Dancer [Workshop] | |
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Se oggi si pubblicasse un disco di tale spessore si griderebbe
al miracolo, non si trova una sola canzone che non meriti di entrare in una compilation
di Americana, il ragazzo di Houston (TX) ne ha di stoffa, riascoltandolo si rende
giustizia ad un grande artista che, pur avendo un seguito nutrito di fans, non
è mai stato accostato ai migliori; No Kinda Dancer è un disco confidenziale,
caldo, sulle orme del primo Guy Clark, contiene alcune canzoni irresistibili come
la title track, oppure il country blues Christabel,
un pezzo che sembra uscito da Quah di Jorma Kaukonen, ma anche The
Front Porch Song scritta con Lyle Lovett come pure la stupenda The
Armadillo Jackal nella quale Keen è autore di una prova vocale di gran
classe. Recuperate la ristampa Koch (2004), SACD e con tre pezzi in più (GZ) Take
#2, prova anche: West Textures
(Sugar Hill 1989) |
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1984 |
Violent
Femmes | Hallowed
Ground [Slash] | |
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Il secondo album delle Violent Femmes godeva di un’aggiunta
fondamentale alla significativa svolta del primo. Allo scarno e irriverente minimalismo
del debutto (uno dei dischi più geniali dell’ultimo quarto di secolo) sommarono
una risalita alle fonti primarie del rock’n’roll che anticipava, di almeno dieci
anni, tutto quello che sarebbe successo sulle “rootshighway”. Torbido, acido,
misterioso e spiritato come il titolo lasciava intendere, Hallowed Ground
raschiava il fondo della palude delle tradizioni musicali e si rispecchiava nella
stessa eccentricità, nelle bizzarrie, nel folklore e in un’avvincente humus che
mischiava sesso e religione, dramma e ironia con un epico background nero e inquietante.
Denso e pericoloso come il bayou dei Creedence o un film dei fratelli Cohen. (MD) Take
#2, prova anche: Violent Femmes (Slash
1982) |
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1985 |
The
Beat Farmers | Tales
of the New West [Rhino] | |
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C'era una volta il vento del roots rock, soffiava dalle coste
della California e qualcuno lo scambiò persino per una rivoluzione. I Beat
Farmers, da San Diego, sapevano bene di cosa si trattava: nient'altro che
buon vecchio rock'n'roll, all'occorrenza impolverato dall'honky tonk gradasso
di Country Dick Montana, una leggenda più che un batterista, e da una coppia di
chitarre, Buddy Blue e Jerry Raney, che mischiava il country&western con le strade
d'asfalto di Springsteen (nel disco una cover ruggente di Reason
to Believe) e di Lou Reed (There She Goes
Again rivoltata come un calzino). Prodotti da Steve Berlin (Los Lobos),
i "racconti del nuovo West" possiedono la trama di un racconto svelto e tenacemente
elettrico. I Beat Farmers non avranno più la stessa esuberanza di questo impeccabile
esordio. (FC) Take
#2, prova anche: Van Go (Curb
1986) |
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