Gli
Stati Uniti contro Billie Holiday
regia di Lee Daniels
[BiM Distribuzione]
A suo tempo proclamata “canzone del secolo” da “Time”, Strange Fruit
è una delle più grandi testimonianze socio-artistiche contro la discriminazione
razziale, in particolare i linciaggi praticati per decenni negli USA,
prevalentemente negli stati del sud. La storia della canzone è nota. In
breve: scritta da Abel Meerepol con lo pseudonimo di Lewis Allan, venne
proposta all'allora ventiquattrenne Billie Holiday. Lei è sotto
contratto con la Columbia, che non ne vuole sapere di inciderla; tuttavia,
grazie all'intervento del pur contrariato produttore John Hammond, Billie
ottiene il permesso di registrarla per la Commodore. E' così che quel
brano del 1939, rievocante terribili immagini - gli “strani frutti” sono
i neri impiccati a un albero e bruciati -, diviene una potente denuncia
contro quella diffusa cultura criminale. Benché censurato anche dalle
stazioni radio, il 78 giri ottiene buoni riscontri di vendita.
Ma il tutto non è senza conseguenze: approfittando della sua dipendenza
dalla droga, Billie viene minacciata, spiata, anche arrestata (Federal
Bureau of Narcotics), e le viene proibito di cantarla in pubblico, nonché
ritirata la card necessaria per esibirsi nei locali. Il nocciolo del racconto
filmico è proprio l'incessante intimidazione e persecuzione subita dalla
grande artista per avere inciso Strange Fruit e volerla proporre
anche dal vivo, a partire dal “Cafè Society” di New York, dov'era “nata”
la decisione di interpretarla.
Il difficile compito attoriale di rappresentare un'icona immortale, interprete
inconfondibile, quanto spesso imitata, è stato affidato alla bravissima
Andra Day che, al suo attivo, ha alcuni dischi e vari show. Qui
la Day - vero nome Cassandra Monique Batie -, fa un lavoro impressionante
di assimilazione, soprattutto vocale, tanto da distinguerla difficilmente
dall'originale, riproponendone efficacemente il drammatico percorso che
ruota intorno al brano e alla sua diffusione. Ma il film di Lee Daniels
- basato su un capitolo del libro “Chasing the Scream: The First and
Last Days of the War on Drugs” di Johann Hari, e scritto da Suzan
Lori-Parks -, pur vantando la forza del racconto specifico, della figura
e vicissitudini della Holiday, manca purtroppo di qualche attenzione a
personaggi che pure hanno avuto un ruolo importante nella sua storia.
A partire da Meerepol, appena raffigurato, e da quel John Hammond che,
oltretutto, è stato “lo scopritore” dell'artista, nonché il responsabile
del suo primo contratto discografico.
Altri dubbi riguardano la mancata o insufficiente “rappresentazione”,
nonché la trascuratezza con cui si narra il rapporto di profonda amicizia
fra lei e Lester Young, molto importante nella sua storia. Fra l'altro,
fu lui a battezzarla “Lady Day”. Inoltre, indicando Baltimore quale luogo
di nascita di Eleonora Fagan, il film propone un errore storico: è appurato
che nacque a Philadelphia (anche se al tempo in cui si svolgono i fatti
era ritenuto quella la città natale...).
Detto ciò, comunque, il film – che andrebbe visto in originale -, ha l'efficacia
di denuncia che si propone, sorretta dall'ottima interpretazione della
Day e da una colonna sonora coi fiocchi che riporta le sue impegnative
cover di diversi brani “holidayani”, aggiungendo incisioni originali di
Bessie Smith, Ray Charles, Louis Armstrong e Sister Rosetta Tharpe.
ps. Nel film si denuncia il fatto che non sia stata
ancora approvata una legge anti-linciaggio, che nel frattempo, finalmente,
è divenuta tale il 22 marzo 2022: “Emmett Till Antilynching Act”. con
riferimento al linciaggio del quattordicenne Till, avvenuto nel '55.