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Frank Carillo & the Bandoleros
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L'intervista
Dove hai conosciuto i musicisti che costituiscono i Bandoleros e come e quando hai deciso di formare la nuova band? Conosco questi ragazzi da parecchi anni. Abbiamo tutti partecipato a delle session insieme per altri progetti e siamo anche amici. Quando ho deciso di registrare del materiale nuovo ho chiesto a loro di raggiungermi in studio. Ci siamo divertiti così tanto a registrare insieme, tutti andavano d'accordo così quando abbiamo concluso il Cd gli ho chiesto di unirsi a me. C'era un'atmosfera molto rilassata in studio, l'intesa tra di noi è stata davvero grande Trovo che il disco abbia veramente un suono fantastico: è stato fatto un gran lavoro sulle chitarre e sulle ritmiche. Raccontami un po' di questa vostra collaborazione in studio. Sono veramente soddisfatto della produzione. Paul Orofino, che ha co-prodotto il disco, ha suggerito che ci trovassimo a suonare in studio come una formazione dal vivo. Per la maggior parte delle registrazioni abbiamo semplicemente usato quattro microfoni sulla batteria e un paio nella stanza. Abbiamo separato gli amplificatori delle chitarre, così come il contrabasso, per cercare di eliminare le dispersioni, ma qualcosa è rimasto (e penso che abbia contribuito al sound generale). Più della metà delle parti vocali sono state catturate durante la registrazione delle basi musicali e tutti hanno dato una mano negli arrangiamenti. Solitamente non mi piace dire agli altri musicisti come devono suonare, tutti hanno qualcosa da aggiungere al mix finale. Se qualcuno ha una proposta, la mettiamo alla prova: se funziona bene, altrimenti nessuno rimane offeso. Ognuno ha lavorato alla riuscita delle canzoni Bad Out There: c'è una ragione particolare dietro il titolo della omonima canzone e quindi del disco? Stavi cercando di riassumere una particolare sensazione nelle liriche? Si, il brano Bad Out There è stata la reazione di fronte ai cambiamenti del mondo negli ultimi quattro anni. Cominciavo a sentire una strisciante e sottile paranoia. Le parole e la musica hanno cominciato a saltare fuori una mattina, spesso scrivo le mie canzoni la mattina presto. Ho deciso di intitolare anche il cd Bad Out There semplicemente perchè era un titolo corto, si presentava bene una volta stampato e la gente cominciava a venire da me dopo lo show dicendomi: "Hey man, it's getting' Bad Out There!". Penso che la canzone toccasse un nervo scoperto Il suono del disco è molto orientato al roots rock, ma leggendo la tua biografia mi pare che tu abbia affrontato diversi generi in carriera. Hai cercato volutamente un suono più tradizionale? No, non ho cercato intenzionalmente di registrare un disco roots. Ho sempre amato il rock and roll, il blues, il country e il R&B. penso di avere sempre scritto canzoni che avessero una base tradizionale. Ma credi che un disco con queste atmosfere possa aprirsi uno spiraglio nel cosiddetto mercato Americana? Apprezzi gli artisti che vengono citati in questo stile o ti senti in qualche modo parte della scena? Lo spero. Mi sento vicino alla musica che suona vera, quella musica che scaturisce da un certo feeling. La gente capisce se è onesta o meno. Ci sarà sempre una definizione per ogni cosa, non ho mai apprezzato questo modo di ragionare. È musica. Sembra che le programmazioni, specialmente in America, siano sempre così divise in compartimenti stagni. Una volta potevi sentire un sacco di generi differenti sulla stessa stazione, rock'n'roll, soul, country o blues. Ma il mondo sta diventando sempre più piccolo e così credo l'attenzione della gente Sei un ottimo chitarrista, ma mi accorgo che in questo disco esce fuori il tuo volto da songwriter: ti senti più un musicista o un autore di canzoni? Grazie mille. Be', quando sono da solo mi sento più un songwriter, ma quando sono con il resto della band o con altri musicisti...mi sento un chitarrista! Adoro le chitarre, mi piace guardarle, suonarle e parlare di loro. Il mio primo eroe è stato Duane Eddy. Quando l'ho visto in televisione al programma di Dick Clark, American Bandstand, con quella grande vecchia Gretsch, per me era davvero un eroe Ti chiedevo questo confronto perchè canzoni come Red queen, Wrong # oppure Chapel Street mi hanno ricordato certo cantautorato urbano, Springsteen, Seger e cose del genere: senti un legame con loro? Si, mi sento vicino a questa tradizione per il fatto che ci sono cresciuto insieme. Tra i miei favoriti però metterei Lennon e McCartney, Bob Dylan, Tom Petty, George Harrison, Smokey Robinson, Holland e Dozier, Marvin Gaye, Leon Russell, Ray Davies. La lista è piuttosto lunga, ognuno possiede qualcosa che lo rende speciale All in Chains e With Her Pajamas On, con quelle atmosfere notturne, jazzy, mi hanno invece riportato al primo Tom waits, sei d'accordo? Si, senz'altro, hanno quello stesso feeling. Ma quando stavo scrivendo Pajamas avevo in testa più che altro "Holloway Jail" e "Demon Alcohol" dei Kinks, visto che al tempo ascoltavo molto Muswell Hillbillies. E poi penso che la gente quando sente una voce rantolante, insieme ad una musica un po' fumosa, tende sempre a immaginarsi Waits. All In Chains è stata scritta in hotel dopo una serata con i Blind Boys Of Alabama. Al tempo facevo parte dei Wicked Grin di John Hammond e sono rimasto a vedere l'esibizione dei Blind Boys. Suonavamo in un teatro del New Jersey. Mi hanno letteralmente steso. Ho sempre amato i loro dischi ma quando li vedi dal vivo è tutto un'altro paio di maniche. Così sono tornato all'hotel e ho scritto la canzone In generale come nascono questi pezzi: lavori molto sulla melodia, sulle liriche o prima componi alla chitarra? Il più delle volte liriche e musica arrivano insieme. Stranamente le parti di chitarra arrivano solitamente molto dopo questo processo. Anche se When The Levee Breaks è basata intorno al riff di chitarra, ma è una eccezione So che hai inciso alcuni dischi solisti già sul finire degli anni settanta (per la Atlantic). Non conosco la tua vecchia produzione: che genere affrontavi al tempo? Fondamentalmente si trattava di rock'n'roll, con una radice blues e qualche ballata di mezzo. Sono stato abbastanza fortunato da passare un sacco di tempo a Londra durante gli anni settanta, incontrando i più grandi e ovviamente ne sono rimasto influenzato (Frank ha jammato anche con i Led Zeppelin, ndr). Ascoltavo praticamente tutto quello che si sentiva in giro. È stato un periodo davvero eccitante per la musica, un sacco di novità uscivano allo scoperto Nel tuo passato ci sono infatti numerosissime collaborazioni con artisti molto diversi fra loro, sei passato dal blues al rock al pop: quali ricordi con maggiore affetto tra loro? Peter Frampton è stato il primo musicista a darmi una grande oppurtunità e gli sarò sempre grato. È un grand'uomo Pete. Jimmy Dewar dalla band di Robin Trower è stato un ottimo amico e ho imparato molto da lui. I Golden Earring sono stati grandi amici e un'esperienza fantastica con cui suonare. Ce ne sono stati così tanti: mi è sembrato che ognuno di loro volesse condividere con me quello che ci stava succedendo In generale cosa ti porti dietro di quel periodo, gli anni settanta, molto importante per la musica rock? Cosa pensi sia cambiato nel music business da allora? Penso che le grandi corporazioni discografiche abbiano preso completamente il controllo. La gente fondamentalmente segue quello che gli viene proposto da questa gente. Questo non significa che non ci sia della buona musica in giro, devi solo cercarla con più fatica rispetto ad una volta. Ecco perchè le piccole etichette indipendenti sono così importanti. Ci sono sempre state, per esempio l'Atlantic era una piccola etichetta quando ha iniziato. Mi sembra che la maggior parte della gente non abbia voglia di allargare i propri orizzonti musicali come si faceva un tempo. Spero di sbagliarmi. Tra gli anni '60 e '70 tutto era più aperto, un sacco di sperimentazione. Adoravo la musica indiana, sin da quando ero un adolescente. Sono stato coinvolto nella produzione di un disco di una incredibile famiglia di musicisti indiani: Kinnar e Payal Seen erano musicisti brillanti. Penso che oggi sia difficile farsi sentire nel mainstream per gente come loro, mentre una volta era più semplice presentare e far accettare diversi tipi di musica ai giovani. Detto questo, penso sia stupido vivere nel passato. Prendi quello che c'era di buono nel passato e inseriscilo nel nuovo, si creeranno cose emozionanti. Non è che ci sia meno creatività rispetto agli anni 60 o 70, è solo che i nuovi artisti non hanno a disposizione una platea così vasta per presentare il loro lavoro. Questa almeno è la mia opinione |