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country swing di
Gabriele Gatto (06/02/2012)
Il
primo disco dei Little Willies - ossia Norah Jones (voce e piano), Richard
Julian (voce e chitarra), Jim Campilongo (chitarra), Lee Alexander (basso) e Dan
Rieser (batteria) - sembrava un divertissement destinato a rimanere un episodio
isolato, il piccolo sfizio di un gruppo di amici che, lasciando per un attimo
da parte le proprie carriere soliste (multimilionarie nel caso di Miss Jones,
di nicchia ma di livello sempre egregio nel caso di Mr. Julian), sembrano suonare
più per se stessi che per un effettivo riscontro commerciale. E così questo nuovo
album giunge totalmente inaspettato sul mercato, mantenendo tuttavia intatto lo
spirito spigliato e rilassato dell'esordio. In realtà, non tutto è rimasto immutato
dal 2006 ad oggi: in particolare la carriera di Norah Jones ha subito una importante
svolta dopo la separazione, sia affettiva che artistica, da Lee Alexander, di
fatto la mente musicale dietro i vendutissimi Come Away with Me e Feels
Like Home, ma anche dietro a Not Too Late, disco in cui la stessa cantante
e pianista provava a fare il grande salto da interprete a compositrice. Non tutto
è filato liscio, però: già l'album del 2009 The Fall, nonostante il tentativo
di dare una smossa rock ai brani, era sembrato decisamente fuori fuoco, ed allo
stesso modo la raccolta di duetti …featuring altro non sembrava che il
tentativo piuttosto stanco artisticamente di riconquistare una fetta del mercato
che sembrava persa.
Così, non stupisce la notizia della "reunion" (se
di reunion si può parlare a riguardo di un progetto nato ontologicamente come
estemporaneo), a rappresentare una sorta di ritorno a casa per la Jones, lontano
dal clamore mediatico ricercato strenuamente ma infine soffocante, verso quelle
atmosfere che ne avevano caratterizzato gli esordi. Allo stesso modo, anche agli
altri componenti della band (fra cui Richard Julian, che un paio di anni
fa aveva realizzato un ottimo
album di cui ci eravamo occupati anche su queste pagine) devono essere
stati ben lieti di riabbracciare una vecchia compagna di viaggio. E tutto sommato
sembra che il tempo non sia affatto passato, giacché le atmosfere di questo For
the Good Times sono grossomodo le medesime del disco di debutto. La formula
è la stessa: una manciata di classici del country, dalla celeberrima Jolene
di Dolly Parton (che comunque resta imparagonabile con l'originale), a una rallentata
Lovesick Blues di Hank Williams, cantata
a due voci da Julian e dalla Jones, per giungere ad una magistrale versione di
For the Good Times di Kris Kristofferson, con la voce della cantante
e pianista texana che sembra immergersi nella malinconia struggente delle parole,
immedesimandosi appieno in esse.
Per tutti i tredici brani del disco le
chitarre talora sferragliano in svisate di matrice jazz (ottimo il lavoro di Campilongo),
talvolta sono solo punteggiature acustiche a sorreggere le armonie vocali dei
due cantanti, sempre affiatatissimi, mentre la sezione ritmica, molto jazzata
anch'essa, è una garanzia. L'aria che si respira è quella di un gruppo di musicisti
che si divertono un mondo, senza doversi per forza curare del risultato commerciale
o di ottenere qualche passaggio radiofonico in più. Sentire per credere la gioia
dell'iniziale I Worship You, dal repertorio
di Ralph Stanley o dall'andatura ritmata dello strumentale Tommy
Rockwood, l'unico pezzo inedito del disco, composto da Campilongo.
Insomma, una sorta di ritorno a casa per Norah Jones ed i suoi compari per un
album che, lungi dal risultare indispensabile, costituisce comunque un buon viatico
per una piacevole ora di immersione nell'honky-tonk e nel country-swing della
miglior foggia.