Richard
Julian Girls Need Attention
[Compass
2010]
Chi l'aveva scoperto nella camminata un po' sbilenca del mattino dopo in
Sunday Morning In Saturday's Shoes non resterà stupito dalla qualità del songwriting
di Richard Julian, che già un paio d'anni fa brillava di un'originalità
tutta sua. I motivi per cui Girls Need Attention (un titolo che
ha l'onore di dire la verità fin dalla copertina) suscita sorpresa si trovano
tutti nello sviluppo di sonorità curiose e colorite, a volte ripescate da un'epoca
in cui a New York le strade erano ancora fatte di pietra, a volte tese a realtà
urbane molto più contemporanee e, in più di un caso, con un occhio verso i Caraibi,
o giù di lì. La complicità di Lee Alexander, partner e sodale di Norah Jones (la
ragazza che con molta gentilezza "ha lasciato le chiavi" a Richard Julian) e produttore
di Girls Need Attention ha di sicuro un ruolo importante nella sua qualità e nella
quantità sonora, però bisogna pur dire che Richard Julian è abbastanza lontano
dal songwriter con chitarra e armonica standard.
E' abbastanza curioso
da avvicinarsi a strumenti inusuali, l'ukulele nella bella Sweet
Little Away o la chitarra resofonica in Alexander's
Black Gt, o di lasciarsi trasportare verso un primordiale swing con
la tuba e il clarinetto della splendida Georgie.
Da un momento all'altro ci si aspetta Marc Ribot e invece spuntano Nels Cline
(Wilco) con le sue stralunate tessiture elettriche e Jolie Holland a impreziosire
una (grande) canzone come Girls Need Attention.
Anche con Richard Julian serve molta attenzione per scoprire gli angoli "noise",
ovvero la NYC contemporanea, in Words o Lost
In Your Light e più in là persino gli accenti caraibici e solari di
Stained Glass, il tutto collegato e coordinato
da una voce magari non portentosa ma in grado di intrpretare con la giusta predisposizione
ogni canzone.
Compresa l'ottima versione di Wedding
In Cherokee County di Randy Newman che chiude in bellezza Girls Need
Attention. Consigliato senza esitazioni a chi ama le canzoni con dentro un po'
di storie, le chitarre acustiche appena sfiorate (bastano i pochi accordi di
World We Made), i songwriter che sembrano cantare dal tinello, le notti
prima e le mattine dopo in una città che non dorme mai e soprattutto a chi curiosa
ancora in cerca uno scampolo di diversità e di eccentricità, non fossero altro
che un clarinetto, un ritmo in levare o il rumore di un amplificatore in ebollizione.
(Marco Denti)