File Under:country
rock, Americana di
Fabio Cerbone (18/06/2012)
Trovata
la mano vincente grazie a Diamonds
& Gasoline, questi cinque ragazzi dell'Oklahoma raddoppiano la posta
e vanno sul sicuro: se qualcuno li aveva già notati come i custodi più credibili
della tradizione locale e i meno invischiati con il banale mainstream di certo
country rock (e si che il citato predecessore portava la firma del gettonato produttore
Mike McClure...), potrà tranquillamente rallegrarsi di un seguito che capitalizza
la freschezza degli esordi e conferma i Turnpike Troubadours come una delle
band Americana più ruspanti in circolazione. Evitando appunto le acque filtrate
e fin troppo cristalline di certo roots rock di area texana, Evan Felker (voce
e principale autore) e soci riportano il genere verso l'autenticità delle terra:
un violino (l'essenziale apporto di Kyle Nix) che ricama insistentemente le radici
hillbilly del gruppo, fragranze cajun negli interventi dell'accordion, ballate
country piene zeppe di melodia, ma sempre adagiate sul crinale del linguaggio
agreste di partenza, qualche accento honky tonk che si mischia al pulsare elettrico
dei musicisti e il risultato si allontana dalle troppe facilonerie a cui qualche
loro collega si è dedicato.
Si, perché a differenza di Randy Rogers band
o Reckless Kelly, con i quali peraltro i punti di contatto non mancano, a partire
da un comune campo di azione fra concerti e pubblico, i Turnpike Troubadours mantengono
ancora una genuinità schietta, pur avanzando in compattezza e qualità del repertorio.
Se il debutto era all'insegna di un sound più campagnolo e strettamente intrecciato
con la matrice bluegrass e old time, nel cammino la band si è spostato sul country
rock epico di Gin Smoke & Lies e fra il galoppare
da murder ballad di Before the Devil Knows We're Dead,
dando l'impressione di una compiuta maturità. D'altronde le miglia macinate sulla
strada sono la dimostrazione di una vecchia scuola che i ragazzi hanno abbracciato
volentieri: crescere in pubblico, affinando le armi del songwriting.
Si
sente eccome, anche quando Goodbye Normal Street ricade negli errori
più giustificabili, connessi in fondo con il "lavoro di genere" a cui i Turnpike
Troubadours tendono per natura: dentro i binari della memoria alla quale apertamente
si ispirano, è logico che non ci sia spazio per troppa sperimentazione, ma ad
un disco così si chiedono in fondo ben altre caratteristiche. E Goodbye Normal
Street le possiede tutte: tratti gioiosi e scattanti in Blue
Star, perfette ballate Americana modellate da qualche parte fra il
primo Steve Earle e il maestro locale Robert Earl keen (Morgan Street,
Wrecked), malinconiche cantilene intonate
tra un eco lontana di steel guitar (Gone, Gone, Gone)
e un immancabile duetto sul quale struggersi (Call a
Spade, con Jamie Wilson), un finale da danza sull'aia con Quit
While I'm Ahead. Siete in cerca del vostro roots album per la colonna
sonora estiva del 2012? Tenete da conto questi Okies.