File Under:alt-country,
indie folk di
Fabio Cerbone (03/01/2013)
Tra
le formazioni più interessanti che un asfittico panorama alternative country ha
saputo proporre in stagioni recenti ci sono senza dubbio il collettivo The
Maldives, una decina o quasi di musicisti della Costa Ovest, Seattle e dintorni,
che ruotano fin dagli esordi intorno al songwriting e alla voce di Jason Dodson.
È la sua scrittura cinematica, il suo intrecciare caratteri da fiction narrativa
e agrodolci lamenti personali su amore, fede e speranza che caratterizzano l'impronta
della band, un country rock dal passo epico dove un certo orizzonte indie pop
alla My Morning Jacket sembra incontrare la brusca tempra del rock delle radici,
rinnovando un genere che non sembrava potere più offrire grossi entusiasmi e rivelazioni.
Muscle for the Wing, catturato con maggiori attenzioni
per melodie e arrangiamenti insieme al produttore Shawn Simmons, sposta sensibilmente,
pur senza stravolgerlo, il baricentro dei Maldives, che dalle lunghe cavalcate
"younghiane" e dal roots rock malinconico dell'esordio Listen
to the Thunder si muovono oggi verso paesaggi e visioni melodici e
dilatati, traghettando in parte la tradizione che sta alla base del loro sound
verso una ballata rock settantesca, la stessa che strizza l'occhio alla California
(l'apripista I'm Gonna Try). Tutto ciò senza
dimenticarsi le galoppate elettriche del recente passato (Come
On, Come On) e quella drammaticità che la voce di Dodson e i reverberi
delle chitarre accrescono negli intrecci di Blood on
the Highway, brano non a caso scelto come primo singolo, sorta di trait
d'union con il disco che lo ha preceduto. Lo stravolgimento non è straniante,
confermando semmai The Maldives come una coda lunga e credibile dell'alt-country
più passionale (e pastorale), ma nell'insieme la moderazione e la cura delle voci
affievolisce un poco il selvaggio abbandono chitarristico degli esordi, preferendo
lo zucchero West Coast di Lately I e Muscle
for the Wing, dove quella vena pop poc'anzi evocata pare sovrapporsi
all'ordito di banjo, steel e organi che gonfiano il suono della band.
L'operazione
è spontanea e non sembra esserci un calcolo eccessivo, nonostante qualche momento
di routine affiori nella parte centrale (la spiritosa Raven
Riley, titolo-dedica ad una famosa pornostar americana, una innocua
It's Like, You Know), lì dove The Maldives non se la sentono di lasciarsi
del tutto alle spalle la componente rurale della loro scrittura. È innegabile
tuttavia che nel tentativo di contaminarla e espanderla scaturiscano i risultati
più interessanti: mentre la tenerezza country di Sally
Mae esplode in accenti da nuova "California Dreamin", accostando la
band a giovani colleghi come Dawes, My Way
torna verso l'inquietudine folk in un falsetto dolcissimo e Go
Back to Virginia innalza un canto finale con un crescendo di chitarre
e voci che mette insieme la prima e l'ultima generazione dell'alternative country,
creando un ponte ideale con i Jayhawks e quella fronda che ha sempre guardato
alla cura delle armonie come un elemento di distinzione.