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new sons of the west coast
di Fabio Cerbonei (20/04/2013)
Dubito che la band dei fratelli Goldsmith (Taylor e Griffin all'anagrafe) si scrollerà
facilmente di dosso il legame artistico con Jackson Browne, nome che a più riprese
è stato scomodato per descrivere il rock arioso che questi ragazzi propongono
fin dai loro esordi (l'interessante North Hills). Tanto più che con Browne in
persona hanno collaborato attivamente, invitandolo tra gli ospiti del precedente
Nothing
is Wrong. Meglio insomma togliersi subito il sassolino dalla scarpa
e ammettere questa sorta di benedizione che il vecchio Jackson ha voluto offrire
ai Dawes, i quali restano comunque uno dei gruppi più interessanti dell'ultima
generazione, per la capacità di Taylor Goldsmith, voce e songwriter principale,
di unire immediatezza pop, senso della canzone e testi di un certo spessore introspettivo.
Stories Don't End è quindi un lavoro che prosegue nel solco tracciato
dai precedenti e ha forse proprio nella mancanza di sorprese strumentali
e in una certa staticità stilistica la vera pecca da scontare. Tra i giochi
offerti dalle armonie vocali, la dolcezza del cantato di Taylor e gli
ottimi interventi delle tastiere di Tay Strathairn, i Dawes camminano
sul velluto, forse vivendo un po' di rendita, seppure resta innegabile
il talento naturale di questi ragazzi californiani nello scovare pop song
accattivanti, come la stessa Just Beneath the
Surface posta in apertura (poi ripresa in una chiave rilassata,
quasi impalpabile, nel finale). Le suggestioni rimangono le stesse: tra
i Fleetwood Mac più che mai attuali (vista la recente ristampa) di Rumours
al citato Jackson Browne del periodo The Pretender, tra il Neil
Young più elegiaco di Harvest e il Tom Petty influenzato dai Beatles,
possiamo assaporare un suono limpido e dal mood romantico in Just
My Luck, Bear Witness e Something
in Common, inframmezzato da piccole esplosioni elettriche,
che mantengono però sempre un certo contegno sonoro (Most People,
l'appiccicosa melodia di Hey Lover).
Si sarà capito che i Dawes non sono una rock'n'roll band nata per incendiare
il palco: prediligono tonalità pastello e levigate, se volete anche un
eccessivo manierismo, accentuato oggi dalla produzione di Jacquire King,
uno che arrivando dall'esperienza con i Kings of Leon avrebbe sinceramente
potuto fare danni. Non è così per fortuna, tutto risulta molto misurato,
nonostante Stories Don't End non sia quella affermazione che ci
si poteva attendere dai Dawes dopo l'ottimo exploit di Nothing is Wrong:
non mancano autentici graffi di classe durante la scaletta - soprattutto
la splendida From a Window Seat, lanciata
dall'incalzante dialogo tra chitarre e piano, o il fragoroso rock westcoastiano
di From the Right Angle - ma l'impressione
generale è che manchi un po' di quella coesione che ci aveva conquistato
in passato. Con un briciolo di coraggio in più potrebbero ancora divertare
i Jayhawks della loro generazione.