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Dan F**kin' Stuart is back in town di
Nicola Gervasini (14/09/2012)
Il
caso Dan Stuart è discussione degli appassionati rock da molto tempo. Una
delle penne più taglienti e voci più laceranti degli anni Ottanta si trovava da
vent'anni circa relegato ad un anonimato non troppo voluto nel sud del Messico
(dove si fa chiamare Marlowe Billings). In tutto questo tempo ha collezionato
solo due collaborazioni piacevoli ma non memorabili con Al Perry e l'amico Steve
Wynn, nostalgici tour con i Green On Red senza seguiti discografici (Chuck Prophet
aveva di meglio da fare) e un album solista dimenticato (in quanto da dimenticare)
nel lontano 1995. Cosa sia successo ce lo racconta lui in queste canzoni, dove
con il solito piglio da scrittore mette sul tavolo le proprie storie di matrimoni
deragliati, viaggi per l'America alla ricerca di una nuova identità, suicidi meditati
e forse pure cure psichiatriche mal digerite.
Perché poi Stuart era pur
sempre quello che si è giocato una carriera a furia di sputare veleno su qualunque
collega in odore di ipocrisia e falsità, quello che - per intenderci - nel suo
sito pubblica la propria mail scrivendo "Mandate un saluto a Poor Old Dan e magari
potrebbe rispondervi persino Billings. Non sono graditi i creditori, mentre i
giornalisti sì, sempre che ne esistano ancora". Per questo il giocare a carte
scoperte, come fa alla perfezione in questo The Deliverance of Marlowe Billings,
è proprio quello che si richiede alle sue opere. Aiutato ancora una volta da Antonio
Gramentieri (che già aveva riesumato Stuart dall'oblio con il progetto degli Slummers
nel 2010) e il nucleo centrale dei suoi Sacri Cuori, con l'aggiunta di qualche
amico come Jd Foster o il vecchio bassista dei Green On Red Jack Waterson, Stuart
si lancia in un album che appare subito come un doveroso e sentito diario della
sua nuova vita errabonda.
Il pezzo centrale dell'album (Gonna
Change) lo si conosceva già perché anticipato l'anno scorso da un ep
di quattro brani venduto ai concerti, ma resta comunque una straordinaria immersione
nella depressione di quest'uomo. Ma non è l'unico episodio che ci restituisce
lo Stuart che avevamo disperato di sentire: Love Will
Kill You poteva tranquillamente fungere da chiusura di uno Scapegoats,
così come l'iniziale Can't Be Found è dotata
della necessaria tensione. Dopo una prima parte decisamente strascicata, il disco
prova variazioni sul tema in una Gringo Go Home
in cui affiora il sound "à la Calexico" dei Sacri Cuori, oppure con il dirty-sound
di What Are You Laughing About o il jingle-jangle
di Gap Toothed Girl. L'impressione è che anche questo Stuart tirato a lucido
possa fare ancora di meglio, perché se The Deliverance of Marlowe Billings ci
restituisce in pieno il lato drammatico che più amavamo (provateci voi a uscire
da What Can I Say? senza versare una lacrima),
manca però di fotografare appieno l'irriverenza e la rabbia che l'uomo riesce
ancora a tirar fuori nelle esibizioni dal vivo, quasi che senza un pubblico Dan
viaggi con il freno a mano tirato o si senta in dovere di rigare dritto. In ogni
caso, anche senza la graffiata decisiva, il tutto basta per il nostro sincero
e sentito bentornato al povero vecchio Dan!