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southern soul rock di
Fabio Cerbone (10/04/2012)
Fenomeno
ancora prima di essere un fenomeno, gli Alabama Shakes sono e saranno uno
degli oggetti più chiacchierati del 2012 in fatto di retromanie "aggiornate" ai
tempi attuali, ovvero quell'idea di un rock'n'roll che evochi agevolmente il passato
ma ne condisca e scompigli gli elementi per suscitare più stimoli possibili. La
ricerca nel caso di Boys & Girls si è soffermata su un probabile
nuovo soul sudista e certo non siamo caduti lontani dall'albero: la voce di Brittany
Howard, possente e trascinata da uno shoutin' sguaiato, è il fulcro di questo
legame, mentre intorno una band di giovani studenti, appena usciti dagli anni
del college o da lavori quotidiani, si arrabatta con un sound veemente figlio
del punk e dell'educazione indie rock (il batterista Steve Johnson arriva da quella
esperienza, mentre la chitarra di Zac Cockrell ha un background più "intellettuale").
Gli effetti su stampa, colleghi musicisti, addetti ai lavori in generale si stanno
già facendo sentire: grazie agli Alabama Shakes Athens torna ad essere un nome
al centro del giovane rock americano (ma qui non siamo in Georgia...), con la
differenza che Boys & Girls non è esattamente una ventata di aria fresca, quanto
una piacevole variazione su formule che le ultime stagioni hanno già sperimentato
in abbondanza.
Il sentiero, ad esempio, è quello dei più recenti Heartless
Bastards (ma il loro Arrow
forse fa di meglio...volete credermi?) e Black Keys, con maggiore enfasi ovviamente
sul canto della Howard, ma un'idea molto simile nel rileggere Otis Redding, la
tradizione Stax e il southern rock in chiave grezza e dall'animo garagista. I
Drive By Truckers sono stati fra i primi ad accorgersi di loro: un Patterson Hood
letteralmente folgorato dalla band li ha subito ingaggiati in apertura del tour,
e il passo verso la firma con la ATO (stessa etichetta dei DBT) è stato breve.
Il parossismo soul di I Found You e il riff
appiccicoso di Hold On dicono già molto di
questa esaltazione collettiva: comprensibile perché su poche ma efficaci dinamiche
gli Alabama Shakes fanno centro, accentuando per esempio i tamburi di Johnson
e montando un fuoco fra chitarre rigorosamente riverberate e contorno di organi
e piano (diversi ospiti nel ruolo).
La ricetta prevede quindi escursioni
dentro e fuori il suono black dei 70, che si fa sensuale in Rise
to the Sun, preparandosi sempre all'esplosione, attendista in Goin'
to the Party, colmo di tormento e passione in You
Ain't Alone e Heartbreaker, ballate
"spezzacuori" che esaltano l'elemento chiave della voce di Brittany
Howard, personaggio un po' freak nella sua improbabile veste, quasi ad accrescere
l'idea di un gruppo che è diretta espressione del melting pot musicale del grande
Sud americano. Ci si accorge però strada facendo quanto le stessa Howard sia la
presenza più importante e al tempo stesso ingombrante degli Alabama Shakes, essenziale
per agganciare l'ascoltatore ma quasi unico riempitivo di un disco che tende ad
eccitare sempre le stesse corde (la soul music torna prepotente nella traccia
guida Boys & Girls, nel finale risorge invece
l'elettricità furente di I Ain't the Same
e On Your Way).
Sulla distanza l'effetto tende a sgonfiarsi parecchio,
reclamando a gran voce un po' più di sostanza. Vista la valanga mediatica che
li sta travolgendo hanno tutto il vento a favore: ho come l'impressione che gli
Alabama Shakes ne usciranno vincitori a qualsiasi prezzo, nonostante qualche sommesso
accenno di critica.