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garage blues, roots rock di
Fabio Cerbone (24/02/2012)
Viene
quasi da chiedersi se il "bastardo senza cuore" non sia una condizione riferibile
soprattutto alla vocalist e indiscussa mattatrice del progetto, Erika Wennerstrom.
Concedetemi la battuta, ma soltanto per una efficace iperbole sulle condizioni
di questi Heartless Bastards, rock'n'roll band che cambia formazione con
il passare delle stagioni e segue sempre l'istinto volubile della sua attrice
principale. Non eravamo ancora sicuri della direzione impressa alla loro discografia
con il precedente The
Mountain, che oggi li ritroviamo rimodellati sull'ennesima nuova line-up,
la stessa che ha condiviso i più recenti tour, ovvero sia le chitarre dell'ultimo
arrivato Mark Nathan, il basso di Jesse Ebaugh e i tamburi di Dave Colvin. Presenze
fugaci le loro anche nel citato The Mountain, album che a grandi linee sanciva
un distacco dall'elettricità furiosa degli esordi, per dirigersi verso le radici
folk e country della musicista di Cincinnati (amica di Patrick Carney dei Black
Keys, che scoprì il gruppo e passò i primi provini alla Fat Possum).
Nascoste
fra numerosi collaboratori e ospiti, le intenzioni di Erika Wennerstrom sembravano
temporeggiare sulla prossima tappa da intraprendere. Nel frattempo lavava i panni
sporchi nella tradizione e studiava il da farsi: trasferito il quartier generale
ad Austin, chiamato in causa Jim Eno degli Spoon come produttore, il risultato
non ha tardato a rendersi oggi visibile in Arrow, disco che si colloca
classicamente a metà del guado, sorta di rielaborazione della nuova ispirazione,
ma con un accento più marcato verso la componente roots rock, la stessa che infondeva
gli esordi. Persino con un'inedita ambizione, dovremmo dire, che si palesa nelle
lunghe The Arrow Killed the Beast e Down
in the Canyon, epiche ballate western dagli orizzonti psichedelici
che ricordano il percorso della collega Jesse Sykes. Potrebbe essere quasi un'opera
di sintesi, forse il loro disco più maturo, anche se non necessariamente il più
riuscito: senz'altro allontana gli Heartless Bastards da qualsiasi tentativo di
farli passare come una coda lunga del successo di band quali White Stripes e gli
stessi Black Keys, leit motiv che li accompagna volenti o nolenti da inizio carriera.
Gli sconquassi di Got to Have Rock and Roll,
dalle cadenze glam rock, oppure il feeling sudista che accompagna Parted
Ways e Late in the Night possiedono
una matrice comune, ma è pur vero che la voce stentorea della Wennerstrom rimane
un marchio sufficientemente caratteristico in grado di salvarli da accuse di facili
somiglianze. Sul fatto poi che Arrow subisca ancora l'incanto di certa tradizione
non vi è altrettanto dubbio: basterebbe il twagin' leggero e i riverberi sixties
di Only for You, il binomio percussioni e
chitarre acustiche di Skin and Bone, l'atmosfera
blues rurale tinteggiata di gospel in Low Low Low.
Nonostante tutte le girandole, Erika Wennerstrom pare dunque mantenere gli Heartless
Bastards vivi e curiosi ad ogni nuova uscita.