Mama Africa cantava
Corey Harris dopo aver solcato l’oceano per tornare a cercare le sue radici
e quelle del blues in Mali. La grande Madre Africa è la terra di
origine dei Tinariwen, profughi del desert blues, qui al loro nono
album di studio sotto la produzione, che più moderna non si può, di Daniel
Lanois. Amatssou, questo il titolo del nuovo lavoro, che
significa “oltre la paura”, è sempre in bilico tra il loro marchio stilistico
di musica ipnotica africana e un tocco di sensibilità occidentale, qui
accentuata dalla regia sonora, appunto, di Lanois.
Una genesi travagliata per questo disco, che doveva essere registrato
negli studi di Jack White (White Stripes) a Nashville nel 2021 ma poi,
per l’impossibilità di viaggiare del gruppo a causa della pandemia, le
session sono state posticipate e quindi riprogrammate in Africa, dove
Lanois avrebbe dovuto recarsi per registrarle. Ma anche questo non è stato
possibile e quindi alla fine si è dovuto fare tutto da remoto (termine
che abbiamo imparato a conoscere molto bene). Le basi delle tracce sono
state incise dal gruppo in una tenda tuareg in un’oasi nel Tassili N’Ajjer
National Park (vero o meno fa sempre un certo effetto), nel sud dell’Algeria,
sito UNESCO, mentre in post produzione sono stati aggiunti i contributi
di musicisti country come Wes Corbett e Fats Kaplin, da Nashville, rispettivamente
al banjo e al violino, Amar Chaoui, da Parigi, alle percussioni, e lo
stesso Daniel Lanois che, oltre a produrre dal suo studio a Los
Angeles, ha aggiunto i contributi alla lap steel.
Il primo singolo estratto dal nuovo lavoro è Tenere
Den, canzone che rende omaggio alla rivoluzione Tuareg nella
regione maliana del Kel Adagh in cui il violino, come era stato nel precedente
disco con il supporto di Warren Ellis, aggiunge tensione al brano.
Anche Kek Alghalm ha influenze nuove
e a tratti sorprendenti, sebbene il banjo che fa da sfondo, a pensarci
bene, è uno strumento che origina proprio dall’Africa. Due strumentali,
Imzad e Tinde, intermezzano la scaletta con la forza evocativa
della musica più tradizionale africana. Le canzoni dell’album parlano
della realtà presente del popolo Tuareg, della situazione politica in
Mali (Arajghiyine) e delle rivolte sociali. Canzoni di lotta, di
libertà, di unità. Canzoni che raccontano le tribolazioni di un popolo,
le vicende umane che assumono un contesto ben più grande dei confini del
loro paese di origine.
E sebbene lo stile che contraddistingue il collettivo resti sostanzialmente
immutato, la bravura sia dei musicisti, sia di chi li accompagna permette
a questa musica ancestrale di assumere toni e sfumature nuovi e interessanti,
in contatto con certa tradizione americana. I Tinariwen si riconfermano
così uno dei più grandi gruppi che, usciti dall’Africa, ha saputo
conquistare l’Occidente senza annacquare i propri valori. Immensi, come
il deserto da dove provengono.