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blues
di Pie Cantoni (05/09/2019)
Come può essere vivere in
un paese in cui la musica, parte fondamentale della vita e della cultura,
è costantemente e aspramente osteggiata da un regime religioso dispotico
e violento? E come può un gruppo di musicisti, cacciati dal loro paese,
continuare a vivere senza soffrire per questa condizione assurda del paese
da dove il Blues è partito per approdare in America? Difficile dare risposta,
ma sicuramente il risultato di tutto questo è ancora blues ovviamente,
nella sua forma più pura e ancestrale. La musica dei Tinariwen,
da sempre complessa, articolata, ricca e moderna pur mantenendo tutte
le radici della tradizione maliana, da quando il gruppo è stato esiliato
dal Paese (appena prima della pubblicazione del precedente disco Elwan),
al dolore delle condizioni di vita in un paese povero e travagliato, aggiunge
la disperazione e il disorientamento della mancanza di una casa dove poter
tornare.
La genesi di questo album è stata particolare: i brani sono stati registrati
durante le pause del tour di Elwan principalmente in Mauritania,
in presa diretta, all’interno delle tende berbere, e gli ospiti sono stati
aggiunti successivamente in fase di post produzione. Questo lo si capisce
anche dal fatto che spesso le canzoni sono più abbozzate, episodi improvvisati
e dai dialoghi lasciati fra un brano e l’altro. Molti sono gli ospiti
in questo Amadjar: Warren Ellis dei Bad Seeds con il suo
(inconfondibile) violino, Micah Nelson (figlio di, e con molte collaborazioni
alle spalle, da Neil Young al fratello Lukas con i Promise of the Real)
al mandolino e charango, Stephen O’Malley (dei Sunn O)))) alle chitarre,
e anche Cass McCombs e Rodolphe Burger. Mentre una sfumatura nuova viene
portata da Noura Mint Seymali, griot mauritana, che aggiunge una nota
femminile di forte carattere nella musica dei touareg maliani.
Il disco risulta meno “occidentalizzato” di Elwan e più radicale,
non ci sono video come Ténéré Tàqqàal, non ci sono duetti con artisti
del calibro di Mark Lanegan a dare un tocco di world music. Ci sono solo
canzoni. A tratti più solari come Taqkal Tarha
dove Micah Nelson fa egregiamente la sua parte col mandolino,
inserendosi in maniera più che armonica nelle trame del gruppo, e altri
di alta intensità e drammaticità come Tenere
Maloulat, in cui il violino elettrico di Warren Ellis (monumentale
come sempre) crea una tensione quasi tangibile, così come avviene anche
in Wartilla. I testi del disco esplorano le problematiche politiche,
sociali, umanitarie e ambientali della loro terra nativa, il Mali, e sottolineano
le difficoltà e i problemi della loro popolo. Il tutto è imperfetto, bello
e “urgente“, intenso e profondo come lo è sempre la musica dei Tinariwen.
Vivere intensamente l’oggi e viverlo come se non ci si potesse aspettare
il domani, questo è quello che ci trasmette la loro musica. Che poi sia
la verità o solo un miraggio da deserto, solo il seguirli nel loro viaggio
musicale ce lo potrà rivelare.