“Mi era venuta un’idea folle
e cercavo dei musicisti che magari pensassero che non era così folle.
Tanti anni fa avevo letto l’eccellente biografia di Miles Davis di John
Szwed, So What ed ero rimasto affascinato dalle descrizioni approfondite
di come Davis e il produttore Teo Macero avessero creato i suoi classici
album elettrici Bitches Brew e Jack Johnson. In pratica
Miles radunava ottimi musicisti in uno studio, sceglieva una chiave e
un groove e poi registrava tutto dal vivo per qualche giorno. Quindi Miles
e Ted modificavano e modellavano queste improvvisazioni in composizioni”.
In questo modo Dave Alvin, conosciuto come fondatore dei Blasters
con il fratello Phil e poi titolare di una notevole carriera solista,
ha descritto l’idea di partenza dei Third Mind; una fantasia diventata
realtà dopo averne parlato al bassista Victor Krummenacher (Camper Van
Beethoven, Cracker) che a sua volta ha suggerito di chiamare il chitarrista
Dave Immergluck (John Hiatt, Counting Crows). A questo trio si sono aggiunti
il batterista Michael Jerome (John Cale, Richard Thompson) e come ospite
la cantante Jesse Sykes che Dave ha definito (esagerando) come un incrocio
tra Grace Slick e Sandy Denny. L’omonimo
esordio è uscito nel 2020, caratterizzato da riprese di brani degli
anni Sessanta attinti prevalentemente dal blues di Chicago e dal cantautorato
folk di New York, rivisitati con improvvisazioni di natura psichedelica
che raggiungono l’apice nello strumentale East West della Paul
Butterfield Blues Band.
A tre anni di distanza The Third Mind ritornano con il secondo disco,
che segue il percorso tracciato dall’esordio con una maggiore presenza
vocale dovuta all’inserimento a pieno titolo di Jesse Sykes e con
l’aggiunta delle tastiere di Willie Aron. Questa volta tra le sei tracce
manca un pezzo forte come East West che si sviluppava in 16 minuti
lisergici, ma oggi non sono da meno l’opener Groovin’
Is Easy e Sally Go Round The Roses.
La prima è tratta dall’esordio degli Electric Flag di Mike Bloomfield,
formati nel ’67 dopo la sua uscita dalla Paul Butterfield Blues Band:
una canzone di tre minuti uscita come singolo che, dopo la parte interpretata
con voce morbida e suadente da Jesse, si trasforma in una jam psichedelica
guidata dalla solista distorta di Alvin con un crescendo, una pausa e
una ripartenza devastante. La seconda è un singolo di successo del ’63
delle Jaynetts, un gruppo vocale femminile di New York, già ripreso in
California da Grace Slick con la Great Society nel ’68 e in Gran Bretagna
dai Pentangle, un brano dal feeling misterioso che ricalca le cover sopra
citate nella parte cantata, perfetto per la voce ipnotica ed eterea della
Sykes, che si espande nell’esaltante improvvisazione di stampo jazzistico.
Vengono di nuovo interpretati Paul Butterfield con In My Own Dream,
title track del suo quarto album che perde la connotazione gospel/blues
con i cori e il sax, diventando un mid-tempo sognante e rilassato prima
dell’acido break strumentale e il cantautore Fred Neil con la ballata
A Little Bit Of Rain che chiude il disco avvolta da un arrangiamento
sommesso ed elegante. Un altro brano cantautorale è Why
Not Your Baby di Gene Clark, tratto da Dillard & Clark del
’69, eseguito senza banjo, archi e cori, con l’accompagnamento di una
chitarra morbida che affianca la voce fragile e malinconica, sostenendo
nella coda strumentale una nota lamentosa e distorta. L'unica traccia
autografa è Tall Grass, scritta da
Dave e Jesse, una ballata sognante che accelera lentamente con il mellotron
di Immergluck, distendendosi nell’improvvisazione centrale e nel superbo
finale orientaleggiante.
L’esordio dal vivo in un recente festival a San Francisco è stato convincente;
è previsto un tour per il prossimo mese di febbraio che si prospetta alquanto
interessante.