Il nuovo
lavoro della cantautrice e chitarrista afroamericana che risponde al nome
d'arte di Sunny War (Sydney Lyndella Ward), dal titolo Anarchist
Gospel, è sicuramente una delle uscite più significative di questo
inizio d'anno. Intanto bisogna sottolineare che questa artista ha fatto
una lunga gavetta (anche la busker), ma questo è il suo primo album a
essere pubblicato per un'etichetta importante come la New West, dopo un
paio di uscite in proprio e altre quattro per la Hen House Studios, label
di buona caratura, ma certamente più piccola e di nicchia. Giusto per
fare qualche nome, di recente la New West (attiva dal 1997, con sedi a
Los Angeles e Austin) ha pubblicato album di Steve Earle, John Hiatt,
Jason Isbell, North Mississippi Allstars, ma se ne potrebbero citare molti
altri.
Nell'immagine della cartella stampa Sunny si presenta con un basco giallo
e un abbigliamento che ricorda un'uniforme militare; questo outfit, unito
alla postura e allo sguardo, le dà un'allure molto fiera e determinata,
quasi una rivisitazione moderna dell’aspetto delle militanti delle Black
Panthers negli anni Settanta. Ci troviamo di fronte a un’autrice che ha
già scritto decine di canzoni, che ha vissuto esperienze tribolate con
alcol e droghe, raccontate senza filtri, in prima persona, e che è anche
un’ottima chitarrista dalle più svariate influenze: folk, blues, country,
ma anche punk e rock’n’roll. In questo album la produzione di Andrija
Tokic (già ingegnere del suono per gli Alabama Shakes) ha dato il
giusto spazio, oltre che alla voce, alla chitarra acustica di Sunny War,
che ogni tanto si lascia andare anche a delle fiammate con l’elettrica.
Il gruppo a supporto è ristretto al punto giusto e comprende ottimi musicisti
di primo piano (per esempio Jack Lawrence dei Raconteurs al basso), ma,
senza nulla togliere al pur meritevole apporto di tutti i collaboratori,
bisogna riconoscere che la voce di Sunny è la vera protagonista di questo
lavoro.
La registrazione è stata effettuata nello studio The Bomb Shelter di Nashville
di proprietà dello stesso Tokic, che mi pare abbia dato una giusta profondità
e impronta sonora all’album. Gli arrangiamenti, perfettamente dosati e
mai invadenti, contribuiscono a far risaltare la voce calda e dalle svariate
sfaccettature della protagonista, validamente affiancata in diversi brani
dalle backing vocals (tra gli altri, Allison
Russell). Le canzoni sono tutte firmate da Sunny War, a eccezione
di due “strane” cover, Baby Bitch dei Ween e Hopeless di
Van Hunt; entrambe mi sembrano però quasi più a fuoco qui che nelle versioni
degli autori stessi. La maggior parte dei brani di questo album hanno
un tema autobiografico e raccontano dei due lati del carattere di Sunny
(ma vien da dire, chi non ne ha?), soprattutto quello autodistruttivo
che a un certo punto della sua vita stava per avere la meglio.
La sua doppia personalità emerge chiaramente in diversi episodi, come
nell’iniziale Love’s Death Bed (titolo
esplicito, direi), dominata dal suono dell’armonica e con la sua voce
non ancora in primissimo piano, ma anche nella successiva (e primo singolo
estratto dall’album) No Reason, dove
la chitarra acustica lascia spazio a impennate di elettrica nella seconda
parte (giusto per citare un verso esplicito: You’re an angel / You’re
a demon). Altro grande brano a sfondo gospel (coerente del resto con
il titolo del disco) è I Got No Fight,
che sfiora i cinque minuti, in cui è in evidenza il cantato sensuale e
caldo di Sunny che si accompagna alla chitarra acustica e si lascia andare
a qualche riff (a metà e fine brano) con l’elettrica, e dove il testo
richiama ancora i demoni affrontati dalla sua autrice.
Mi pare evidente che quest'ultima abbia avuto un'immensa forza nel convogliare
le esperienze difficili della sua vita in tutte queste canzoni, le quali
rappresentano una sorta di stream of consciousness personale e
che sono servite a Sunny come catarsi delle molte vicende personali che
ha vissuto prima e durante la loro stesura, compresa tra l’altro la morte
del padre. Vorrei citare anche il brano di chiusura, Whole,
a tema socio-politico, perché ha dei versi toccanti che parlano succintamente
ma in modo efficace di alcuni aspetti della nuova alienazione, ormai dilagante
nel mondo del lavoro contemporaneo (suona come uno slogan il ritornello:
No pay / Could ever buy your soul, dovremmo rifletterci).
Forse si poteva fare qualcosa in più sulla grafica della copertina, ma
è veramente l’unico dettaglio fuori fuoco. Pur essendo iniziato da poco
(nel momento in cui scrivo non è ancora terminato febbraio), ho come l'impressione
che non sarà facile scalzare questo album dalla lista delle migliori uscite
di questo 2023.