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Wilco
Cousin
[dBpm 2023]

Sulla rete: wilcoworld.net

File Under: back in the saddle


di Nicola Gervasini (14/10/2023)

È come quando si finisce impantanati nel fango con la macchina: continuando a provare ad andare avanti si finisce solo per sprofondare ulteriormente, per cui spesso la soluzione migliore è fare retromarcia, e ripartire da capo provando da un altro punto. Più o meno quello che sta accadendo a Jeff Tweedy, un artista che stava attraversando un momento difficile, in cui, sia con i Wilco che nei suoi album solisti, sembrava portare avanti un dialogo con sé stesso e le proprie depressioni a volte un po’ troppo autoreferenziale e involuto. Di fatto non ci sono grandi differenze tra Ode to Joy dei Wilco o Warm firmato a suo nome, segno che la band in studio si stava un po’ asservendo al suo stile sempre più intimo e scarno, situazione resa ancora più evidente dal fatto che dal vivo i Wilco hanno invece continuato a dare l’impressione di essere una macchina perfetta e rodatissima.

Poi è arrivato Cruel Country, un disco che ridefiniva i Wilco come combo di talenti e non più come una emanazione del solo Tweedy, e soprattutto un doppio album che faceva marcia indietro recuperando quella tradizione rielaborata che ci offrirono con tanti applausi con Being There del 1996. Che fu il punto di partenza per la fase più felice e sperimentale della loro carriera, esattamente come Cruel Country sa di un punto ripartenza che ha poi dato vita a questo Cousin, il quale è se vogliamo il nuovo Yankee Hotel Foxtrot dei Wilco degli anni Venti. E se allora la band si fece aiutare dalle idee di Jim O’Rourke, oggi passano tutto attraverso la moderna produzione di Cate Le Bon, che evita di tentare la band con le sirene dell’elettronica (massicciamente usata invece nella produzione recentemente offerta a Devendra Banhart), ma preserva il suono Wilco, spingendoli però a tornare ad osare di più.

Infinite Surprise si intitola il primo brano, e lo è di nome e di fatto, nella migliore tradizione delle prime canzoni dei dischi dei Wilco, che hanno sempre la funzione di spiazzare e annunciare di non mettersi troppo comodi, perché nulla sarà come il disco precedente. E anche la storta Ten Dead, che riporta a certe spigolature di Star Wars, sembra voler proseguire un discorso di stravolgimento del tutto, prima che la splendida Levee, una nuova Impossible Germany che esalta il miglior songwriting melodico di Tweedy, riporti tutto a casa. Ne è uscito vario, sfaccettato e forse non del tutto definito questo Cousin, che anche nel suo prosieguo alterna momenti da Wilco classici come Soldier Child ad altri più impegnativi come la title-track.

Le buone notizie arrivano dal fatto che comunque Tweedy pare non aver perso davvero la penna felice, e che la band sembra davvero più vogliosa di farsi sentire, con i vari Nels Cline (che si è chiuso per due giorni da solo con Cate Le Bon per definire il suono) e Pat Sansone più protagonisti, anche se mai sovrastanti come è loro stile. Non sta piacendo a tutti Cousin, e forse proprio il fatto di essere tornati a far discutere e a stuzzicare dialoghi musicali è il primo grande successo di un album che avremo bisogno di più tempo per definire all’interno della loro discografia, ma che sicuramente non fa che confermare i Wilco come un punto di riferimento primario per la musica americana degli ultimi trent’anni.


    



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