È una tensione
naturale quella che muove le canzoni di Valley of Heart’s Delight,
secondo album della giovane promessa Margo Cilker, nell’arco di
soli tre anni diventata una delle voci guida dell’Americana al femminile,
credibile erede di un mondo di chanteuse country che dalle madrine Emmylou
Harris e Nanci Griffith, le più affini per stile e canto, approda ai giorni
nostri. Costruito sulle certezze dell’esordio Pohorylle,
tanto da ribadire il sodalizio artistico con la collega Sera Cahoone nel
ruolo di produttrice, l’album è una continua ricerca del tempo perduto
e delle proprie radici famigliari, un dialogo fra la terra californiana
d’origine, la cittadina di Los Altos nella Santa Clara Valley, dove Margo
è cresciuta con i genitori, e quella d’adozione, l’estremo Ovest dell’Oregon,
nella piccola comunità di Enterprise, dove la Cilker ha composto la totalità
di queste canzoni.
Evocando le immagini dei frutteti, delle colline e dei fiumi della sua
adolescenza, Margo Cilker insiste sulla “lotta” fra il senso di appartenenza
e quello nostalgico di una distanza riflessa anche dalla vita errante
di musicista. Semplici, emozionali, nella più classica delle tradizioni
del folk rurale americano, dove il sentimento di distacco fisico e di
aderenza spirituale a certi luoghi crea spesso un magico dialogo musicale,
le ballate di Valley of Heart’s Delight acquistano il sapore
agrodolce di un country rock diviso tra vecchia e nuova strada. In mezzo
ci sono la voce e il suono dell’America di Margo Cilker, che accarezza
disarmante l’ascoltatore in Lowland Trail e
colora le composizioni di una luminosità dai fremiti soul in Keep It
on a Burner e dalle vivaci movenze honky tonk in I Remember Carolina.
È il prototipo perfetto di quella che un tempo sarebbe stata salutata
come un’ambasciatrice della “rivoluzione” gentile dell’alternative country
(Sound and Fury ne rappresenta una
sorta di manifesto sonoro), null’altro che buona vecchia american music
dai tratti agresti che si strugge tra le braccia di una ballad pianistica
quale Beggar for Your Love e si scioglie negli effluvi di una liquida
pedal steel in With the Middle. La scelta dei musicisti non è affatto
un dettaglio per ottenere questa colonna sonora direttamente dal “middle
of nowhere” del paese: proprio la steel è rimessa alle cure del bravissimo
Paul Brainard (per anni nei Richmond Fontaine) e tra gli altri si fanno
notare il lavorio sentimentale di Jenny Conlee-Drizos (The Decemberists)
al piano, accordion e organo, quello di Kelly Pratt ai fiati, nonché gli
ospiti Caleb Klauder al mandolino e cori e Ben Walden all’armonica.
Di quest’ultimo Margo Cilker propone anche l’unica cover della breve scaletta
(unidici brani su un raccolto di una quindicina, inciso negli studi di
Vancouver), un esuberante numero da saloon quale Steelhead Trout,
che stride un po’ con la misurata poetica rootsy del disco, e che tuttavia
si inserisce perfettamente nel discorso di legami tra ambiente, natura
e famiglia che la protagonista va scavando attraverso l’intero percorso
dell’album, chiuso simbolicamente dalla delicatezza acustica di All
Tied Together.
Non ci eravamo sbagliati: c'è una nuova protagonista a cantare
i grandi spazi americani, ha raccolto il testimone per condurci ancora
un tratto più in là lungo la strada.