Che siano due album usciti
nello stesso anno o un unico doppio, la mole non cambia: a distanza di
tre anni dall’accoppiata che ce li fece amare (U.F.O.F
e Two Hands), tornano i Big Thief. Dragon New Warm
Mountain I Believe in You è il frutto di queste tre stagioni di scrittura
in reclusione da parte della cantante Adrianne Lenker, il che ha fatto
deviare un poco dal progetto iniziale pensato nel 2019 dal batterista
e produttore dell’album James Krivchenia, che era quello di registrare
in quattro studi differenti, in quattro posti tra loro molto diversi per
ispirazione e suoni (New York, il Topanga Canyon in California, il Sonoran
Desert in Arizona e la zona montuosa del Colorado), col fine di catturare
così la musica della band in ogni suo aspetto e sfumatura. Poi l'arrivo
del Covid li ha costretti a rinchiudersi prima nel Vermont, ma alla fine
il disco è il risultato della scelta di 20 pezzi sui 45 registrati in
5 mesi, il che fa pensare che forse per il prossimo capitolo non si dovrà
aspettare tanto.
I doppi album nell’era dello streaming suonano ormai come una provocazione,
ma va detto che la band vive un momento di evidente grazia che è giusto
sfruttare al massimo, dato che ci sarà tempo poi per riscendere nella
normalità, come è naturale che accada per qualsiasi gruppo dopo qualche
anno di rodaggio. Per cui, fin dal primo ascolto, Dragon New Warm
Mountain I Believe in You dona subito la sensazione che qui siamo
all’apice artistico e al massimo delle loro possibilità, con episodi di
puro folk rurale con la Band nel cuore (Change, Sparrow),
a momenti in cui invece si spingono più in là abbracciando suoni più prodotti,
e, se volgiamo, anche più radiofonici (Little Things). Dunque alla
fine sì, il risultato è quello voluto, e cioè di offrire un piatto ricco
e composito che potrebbe suscitare le reazioni più disparate (dalla noia
all’entusiasmo, o al classico commento ”se fosse stato un singolo album
sarebbe stato meglio” che accompagna qualsiasi doppio album da Blonde
on Blonde in poi), ma che con più equilibrio potremmo definire un
disco di conferma per una delle realtà musicali più vive del momento.
Piace in particolare il loro essere una combo davvero rodata, con contributi
paritari di tutti i membri (le chitarre di Buck Meek restano il fulcro
di tutto, mentre il bassista Max Oleartchik gioca un po’ un ruolo alla
John Paul Jones, spargendo tastiere e elettronica laddove gli è concesso,
come in Blurred View o Wake Me Up to Drive), e il fatto
che sappiano passare con disinvoltura da brani intimi (Simulation
Swarm) ad altri che ti si incollano addosso come Love
Love Love. Il tutto con testi che raccontano con grande semplicità
il continuare a vivere l’amore e le solitudini di artisti, o semplicemente
di persone, del nostro tempo. Quello che i Big Thief stanno raccontando
decisamente bene.