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John Moreland
Birds in the Ceiling
[Old Omens/ Goodfellad 2022]

Sulla rete: johnmoreland.net

File Under: same folk songs


di Fabio Cerbone (11/08/2022)

Lo sguardo interiore che aveva conquistato la scrittura musicale di John Moreland nel precedente LP5 (semplicemente dal numero di album fino ad allora pubblicati) si è fatto ancora più totalizzante nel nuovo capitolo intitolato Birds in the Ceiling. Sarà l’effetto dell’isolamento e della pandemia, che hanno messo lo zampino un po’ dappertutto e inevitabilmente hanno influenzato l’ispirazione di tanti autori, ma il songwriter di Tulsa, tra le voci più autentiche liberate dalla provincia americana in questi anni, ha scelto una volta di più la strada dell’introspezione, meditazioni in solitaria come le definisce egli stesso, conversazioni a tu per tu con la prorpia anima che finiscono per imprigionare il suono in una lunga, indistinta sequenza di ballate acustiche.

È la negazione o quasi dell’impronta più heartland e dall’anima roots rock che aveva entusiasmato nel gioiello High on Tulsa Heat e nell’ottimo seguito di Big Bad Luv. Qui affiancato ancora dall’opera di Matt Pence in fase di produzione, Moreland sceglie il sussurro e la confessione, stendendo il lenzuolo del suo stile in fingerpicking di educazione country folk su un morbido letto di ammenicoli e loop elettronici, piccoli scarti ritimici che fanno da tappezzeria a una scaletta troppo simile e incartata su se stessa. Curando tutte le parti di chitarra, sorretto solo da qualche intervento al piano del collega John Calvin Abney e dallo stesso Pence, John Moreland è talmente convinto dell’efficacia del nuovo corso da non accorgersi che fra il lento cullare di Ugly Faces e il finale della title track non esiste sostanzialmente un seppur timido cambio di prospettiva. Ci sono sì parole profonde, una voce che sa ammaliare anche nel tono più discorsivo di oggi, ma quando si arriva al cuore della canzone la questione sembra perdersi in brani freddi, melodicamente un po’ schiacciati su questa onda sonora di “folktronica”, che episodi quali Lion’s Den e Cheap Idols Dressed in Expensive Garbage bene riassumono in tutti i loro limiti.

La capacità di raccontare lo sradicamento e la confusione dei moderni tempi americani, la relativa solitudine umana e la ricerca della bellezza in se stessi resta un punto di forza del suo metodo narrativo, ma in mezzo ai giochini elettronici e al divagare malinconico della chitarra di Moreland, canzoni come Generational Dust, Claim Your Prize o la languida Neon Middle June (comunque tra le più interessanti per via dell’intermezzo pianistico) restituiscono quella monotonia dei sentimenti che già emergeva nel citato LP5 e che adesso sembra celarsi dietro un’apprezzamento, a detta dello stesso John Moreland, per una scrittura più pop. Sarà, ma l’impressione è che del linguaggio pop manchino completamente l’immediatezza e anche l’abilità spesso di risultare profondi con le armi della semplicità. Queste sembrano piuttosto ballate un po’ noiose.


    



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