Condividi
 
 

Anaïs Mitchell
Anaïs Mitchell
[BMG 2022]

Sulla rete: anaismitchell.com

File Under: comin' home


di Fabio Cerbone (31/01/2022)

Un ritorno alla terra del Vermont, quella che le ha dato i natali quarant’anni fa, e una riflessione sulle proprie radici, su ciò che è rimasto della bambina di un tempo, allevata nella casa dei nonni, e ciò che la vita, l’amore, gli affetti hanno ancora da offrire in prospettiva. Sono alcune delle tematiche che muovono il songwriting di Anaïs Mitchell nel suo ritorno solista a dodici anni dal precedente lavoro, Young Man in America. Una pausa interminabile per i tempi della discografia moderna, sebbene Anais non fosse mai uscita di scena, preferendo “nascondersi” dentro altri progetti musicali: il trio dei Bonny Light Horseman, innanzitutto, dove la sua voce brillava in primo piano, con i Big Red Machine dell’amico Justin Vernon, o nel recupero delle antiche ballate folk di Child Ballads, in coppia con Jefferson Hamer. E naturalmente nella cura dell’edizione teatrale di Hadestown, traduzione per Broadway del suo disco più fortunato, quella saga a più voci ispirata al mito greco che le è valso persino un Grammy.

Artista comunque schiva e parsimoniosa nell’esporsi in prima persona, centellinando quello che ha davvero da offrire con le sue canzoni, Anaïs Mitchell riparte da un album che non ha nulla da dimostrare e forse neppure nuove conquiste da svelare dal punto di vista sonoro, piuttosto ribadendo le qualità di una delle migliori voci femminili del folk americano degli ultimi vent’anni. Dieci canzoni che fluttuano tra il celestiale e l’intimo, toccate dalla solita impeccabile sensibilità melodica, dolcissima e personale nell’intreccio di accordature e tenui scelte ritmiche: Anaïs Mitchell è un disco che per forza di cose non si discosta da quanto mostrato, per esempio, con i Bonny Light Horseman (Revenant e gli effluvi di Backroads provengono idealmente da lì), vedendo coinvolto il membro di questi ultimi, Josh Kaufman, alla produzione, il quale chiama in studio il contributo di Michael Lewis, JT Bates, Thomas Bartlett, Aaron Dessner e dell’arrangiatore Nico Muhly per archi e fiati.

Se per la prima volta mancano davvero le sorprese stilistiche, l’attenzione è sulle parole e il canto: quest’ultimo si apre sulla languida melodia pianistica di Brooklyn Bridge, l’abbandono di New York prima della pandemia e incinta al nono mese della figlia, in direzione del Vermont, e si chiude dopo un viaggio di riscoperta di sé tra le braccia altrettanto accoglienti di Watershed, sempre guidata dal pianoforte e da un garbato manto sonoro in sottofondo. Alternando giochi elettro-acustici che rappresentano l’intima essenza della scrittura musicale della Mitchell, nonché la migliore coperta dentro la quale avvolgere la sua interpretazione fanciullesca e apparentemente indifesa (il primo singolo Bright Star ne rappresenta l’annuncio), l’album tocca ancora momenti di grande poetica folk e bellezza pop al tempo stesso, come accade in On Your Way (Felix Song), dedica speciale allo scomparso produttore Edward “Felix” McTeigue, nella più raminga Little Big Girl e fra il consolatorio linguaggio folk (Real World, Now You Know) che l’ha formata come musicista e autrice.

Un disco importante più per se stessa che non per un’affermazione artistica ormai assodata, vista la centralità di Anaïs Mitchell tra le folksinger della sua generazione.


    



<Credits>