Diciamo la verità: chi avrebbe
scommesso su questo finale di partita per John Mellencamp? Il piccolo
stizzoso rocker dell’Indiana aveva conservato per molto tempo l’immagine
(e il suono) di quell’America proletaria del Midwest, che trovava nelle
sue canzoni, e nelle conseguenti battaglie, dal Farm Aid in poi, il riflesso
di una resistenza e di un orgoglio a suon di chitarre. Heartland rock,
si diceva, con una certa dose di romanticismo e retorica. Eppure, i segnali
di un’anima più combattuta, di una profondità dell’uomo e dell’artista
c’erano sempre stati: potremmo persino scomodare la poetica famigliare
di un album come Big Daddy, che spiazzò parecchi all’epoca, o certi
lavori “di passaggio” (gli scarti di Rough Harvest, le cover di
Trouble No More) che adesso sembrano segnali premonitori; di certo
non dovremmo ribadire gli ultimi quindici anni di carriera, con un progressivo
avvicinamento all’essenzialità dei linguaggi del folk e del blues, un
suono più asciutto e una dimensione da storyteller che lo ha fatto accostare
più a Woody Guthrie (e anche al vecchio amico John Prine, magari passando
per Bob Dylan) che agli Stones o James Brown dei suoi esordi.
Strictly A One-Eyed Jack arriva al culmine di questo “invecchiamento”
consapevole, si fonda sulle conquiste, liriche e sonore, di album quali
Life,
Death, Love and Freedom (con il senno di poi, l’album della
svolta nell’età adulta) e Plain
Spoken, e trova la chiave giusta per l'uniformità tematica
di dodici canzoni che riflettono una volta di più sul trascorrere inesorabile
del tempo, sulla morte, sulle menzogne che sembrano guidare il mondo,
anzi meglio, noi stessi. Sono i primi versi di I
Always Lie to Strangers a stabilirlo e tutto discende di conseguenza,
con un trittico iniziale che nel dondolio folk e nella melodia un po’
retro di Driving in the Rain o negli stridori blues di I Am
a Man that Worries dipana il tono musicale che andrà per la maggiore:
il violino della fedele Miriam Sturm, il piano e l’accordion di Troye
Kinnett, persino una tromba (Joey Tartell) jazzy ed elegante nella ballad
da ore tarde di Gone Too Soon, degna
di un Tom Waits da “saturday night”, brano che insieme al finale da autunno
della vita di una commovente A Life Full of Rain
detta il passo della disillusione e della diffidenza che emergono prepotentemente
in Strictly A One-Eyed Jack.
Non è un disco facile, per nulla, e John Mellencamp conferma di fregarsene
delle conseguenze: “non sono per tutti”, afferma, e se non ora quando
potrà permettersi di presentarsi così, nudo, con le sue dure verità, che
sembrano piuttosto un’accettazione di sé che non una semplice nostalgia
senile. Quest’ultima forse sfugge di mano proprio in Wasted
Days, quel duetto con l’amico ritrovato Bruce Springsteen che
ha fatto da traino al disco: un incontro che da tempo era nelle corde
dei personaggi, adesso più che mai visti gli argomenti crepuscolari che
li legano, nonostante l’esito musicale non sia neppure tra i più interessanti
nella scaletta (insieme alla luce speranzosa di Chasing Rainbows,
un po’ convenzionale per melodia e arrangiamento).
C’è semmai da struggersi fra le movenze scure di Sweet
Honey Brown, aguzza al punto giusto nel dialogo tra violino,
organo e chitarre elettriche (il sempre devoto Andy York), nell’addolorato
canto acustico di Streets of Galilee, oppure ancora nella stessa
Simply One-Eyed Jack, testo complesso ed enigmatico rispetto al
resto del disco, una danza folk che è la quintessenza di alcune sonorità
costruite da Mellencamp con la band in questi anni. Paradossalmente sono
i momenti di tenuta rock (Did You Say Such a Thing, dove appare
ancora Springsteen in una cruda stilettata solista alla Telecaster, la
classica Lie to Me) quelli che suonano meno invischiati nella scarna
visione d’insieme del disco, sebbene aiutino a spezzare un’atmosfera altrimenti
gravosa da reggere.
A fare da collante però ci pensa non solo la corposità “pesante” e schietta
delle parole, ma anche la voce di John Melllencamp, che sembra davvero
non fare prigionieri: i toni bassi, increspati e rauchi - effetti di quel
fumo che prima o poi lo ucciderà, dice lui cocciuto, per nulla intenzionato
a smettere - sono quelli di un vecchio bluesman che ha visto e vissuto
molte cose, inciampi e abbagli dell’esistenza compresi.